Emilio Villa è nato nel 1914 ad Affori, un quartiere di Milano nella periferia settentrionale della città, è vissuto a Roma, è morto a Rieti nel 2003. È stato il precursore della neoavanguardia, del Gruppo 63 e dei Novissimi. Le sue opere: Adolescenza (La Vigna Editrice, 1934), Oramai (Istituto Grafico Tiberino, 1947), E ma dopo (con disegni di Mirko, Argo, 1950), Pour amuser Voltaire, pour épater Staline (Argo, 1950), Cinque invenzioni di Nuvolo e un poema di Emilio Villa (La Palma, 1954), Sei invenzioni (con disegni di Nuvolo, La Palma, 1954), 17 variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica (Origine, 1955), Villadrome (Origine, 1964), Ash overritual (Origine, 1964), Iside enfante Kongo (Origine, 1964), Brunt H opitions. 17 eschatological madrigals captured by a sweetromatic cybernetogamic vampire (by Villadrome, Foglio Editrice D’Arte, 1968), Traitée de pédérasthie céleste (Colonnese, 1969), Le monde Frotté Foute (con 6 tavole di Claudio Parmiggiani, Scheiwiller, 1970), Beam H (La Nuova Foglio, 1971), Phrenodiae quinque de coitu mirabili (con 5 testi di Corrado Costa, La Nuova Foglio, 1971), La râge oblique / La râge oublie (journal) (Visual Art Center, 1973), 9 méditations courtes (Editrice Magma, 1974), 9 lithographies de Giulio Turcato et 9 méditationes courtes par Emilio Villa (Bulla, 1974), L’homme qui descend quelque: roman metamytique (con 6 tavole xilografiche di Claudio Parmiggiani, Editrice Magma, 1974), Dannunziana (Visual Art Center, 1974), Hisse toi re / d’amour / da mou rire romansexe (Geiger, 1975), Exercitation de tire en iolcibles (con illustrazioni di Nuvolo, 1975), La dernière mort sentimentale (Visual Art Center, 1975), Le mûra di t; éb; é (Galleria Multimedia, 1981), Bova e Mafonso. Sirène et Jobard (Cofin Arte, 1983), Baptêmes (Edizioni Morra, 1997), Opere poetiche I (a cura di Aldo Tagliaferri, Coliseum, 1989), Pro (desuper) (intra) C.P. (con un’opera di Claudio Parmiggiani e un testo di Mario Diacono, Maramotti, 1994), 12 Sibyllae (Michele Lombardelli Editore, 1995), CBille Cbelle (Castelvetro, 1995), Dal Piero al Gian Ruggero, i nuovi Manzoni in arte (Prometeo, 1995), Ridente sillaba (con 2 opere grafiche di Agostino Bonalumi, Proposte d’Arte Colophon, 1995), Letania per Carmelo Bene (Scheiwiller, 1996), Trous (con 5 tavole di Enrico Castellani, Proposte d’Arte Colophon, 1996), Sì, ma lentamente (Edizioni Morra, 1997), Omaggio a Emilio Villa (a cura di Giacinto Spagnoletti, Fondazione Piazzolla, 1998), L’opera poetica (a cura di Cecilia Bello Minciacchi, postfazione di Aldo Tagliaferri, L’orma editore, 2014), Emilio Villa/la scrittura della Sibilla (a cura di Daniele Poletti, contributi critici di Aldo Tagliaferri, Cecilia Bello Minciacchi, Carlo Alberto Sitta, Cinquemarzo collana Diaforia, 2017).
Prendi la rocca e il fuso e andiamo in California…
…A nivale di nebbie dei re
longobardi,
si partiva per le cene, con le torce,
coi letti
arrugginiti, sulle spalle,
a fare una pasqua, per i morti,
senza
fine. Poi tramontava il giùbilo
di pentecoste, a picco
sopra
il torrente del mio paese, o giovane Strona:
grigia, quanto la
tunica dei giorni:
le donne ci hanno vigilato
han volto, a capo
in giù, le sacre torce.
Solo, tre becchi di lampada, a
petrolio,
ancora rischiaravano gli àzimi,
che si doveva
trangugiare nelle albe
del bene (e del male), sulle strade.
Ho
preso, un giorno, lo stallo
nel coro, o cicale!, dei miei simboli
benedetti:
dove a scorze d’alberi, mangiati dalla folgore,
le
foglie fuggite cantavano le antifone:
“Alza ferro contro il tuo
petto!
perché si sappia, fin dall’inverno,
se tu sei arido o
fertile: e chi ti salverà dai gesti futuri?”
“Non mettere il
tuo cuore sulla vigna di Sirtori o di Somma,
sulla vigna d’Appiano
o di Missaglia:
perché il vendemmiatore bagna il pane
dentro
la secchia dell’aceto”.
“Colui che implora, a ogni
mattino,
la sapienza dagli àcini dell’uva,
saprà incendiar
tutte le vigne
nel giorno dell’addio…”.
Ormai
Un giorno la giovinezza, con
circospezione
abbandona arbitrariamente i capolinea. Ecco.
E io
ricordo le finestre che s’accendono al pianterreno
sul vialone,
e somigliano così profondamente ai radi
ragionamenti che faremo
sul punto di morire,
in articulo, con l’ombra degli amici, a
fior di mente.
Invero
non so più se viva tra le secche
ancora
il suo tepido serpire, adesso,
in province gelate, come una
romanza
fine e perenne sul filo della schiena, ma davvero
so
che nelle lacrime lombarde, ove credemmo
di mieterci a vicenda,
vagabondi baleni
dissipavano i veli nuziale alle riviere.
Ed
era un nome d’alta Italia, a ripensare bene,
era un nome questa
raffica, che non osi
più inseguire? E la felicità
dell’occidente
si salva in occidente?
Disabitate ormai le
alzaie, e disperando
ormai del nostro sentimento (e la
nebbia
ormai mietuta che ci stringe a mezza vita),
disabitate
le alzaie e disperando ormai,
se la patria fosse una cittadinanza
unica, reale,
andrebbe ricordata in un risucchio, a capofitto
per
le celesti aiuole, la parte più dimessa
del nostro pensare
lontanamente: andrebbe
ricordato uno spesso passaggio di
brumisti
e di taxi, quel che tossisce sul margine caduco
del
Naviglio, o libero tra le pioppe luccicanti
che i diti dl vento
tamburellano lassù, il brivido
dell’ultimo brum, in una corsa
matta, che ci porta
via tutti i fanali e il nostro cuore
salutando.
Nottata di guerra
La notte che c’era il nubifragio,
molte mamme
addormentate nella piena con la lingua secca,
io
cominciavo a immaginarmi la ragazza
che adagio se la sfoglia, e
dice: «ce l’ho lunga,
rara, rosa, bella» e trema come una
foglia:
e l’erbe parvero sanguinare sotto la
forbice dei lampi,
e noi non per niente dovevamo pensare alla
salsa
inglese, alla trota moribonda con gli occhi nel sugo
delle
vetrine tra le foglie di senna, con il prezzo
al minuto sul banco
marmoreo, e alla stadera: allora,
primizia colore di pelle di pollastro,
filamentosa,
una figliola in bianco poggiava le sue tette
stagne
sul cristallo delle bacheche, e con il mignolo
piluccava
l’uvetta nel mollo del panettone:
era la notte che c’era il nubifragio,
e molte
ruote di lontano perdevano i tubolari nella palta,
e
una zona di ragne baluginanti per l’aria alta,
orme sovrane e
incerti passi sull’immobile
insonnia che divide i morti di qua
dai vivi di qua.
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