Sergio Solmi, nome di battaglia Mario Rossetti (Rieti, 16 dicembre 1899 – Milano, 7 ottobre 1981), è stato un critico letterario, poeta, avvocato e partigiano italiano. Nato a Rieti, figlio dello storico Edmondo Solmi, all'età di otto anni si trasferì con la sua famiglia a Torino. Al Liceo Classico Gioberti ebbe tra i suoi docenti Attilio Momigliano. Partecipò giovanissimo come ufficiale di fanteria alla prima guerra mondiale. Studiò con passione i grandi autori della letteratura francese, (Montaigne, Arthur Rimbaud) e soprattutto le figure più rappresentative della letteratura italiana contemporanea, in particolare Giacomo Leopardi. Nel 1922 a Torino con Mario Gromo e Giacomo Debenedetti fondò la rivista letteraria Primo Tempo e l'anno dopo pubblicò le sue prime poesie Comete.
Al termine degli studi universitari, laureatosi in Giurisprudenza, iniziò a lavorare presso la Banca Commerciale Italiana come avvocato e consulente giuridico, occupazione che svolse per tutta la vita. Nel mondo culturale torinese di quel periodo conobbe Piero Gobetti con il quale condivise gli ideali di libertà maturati fin dall'instaurazione del regime fascista. Spinto dal grande pensatore torinese, Solmi iniziò a collaborare a La Rivoluzione liberale. Nel 1927 gli nacque il figlio Renato.
Negli anni quaranta Solmi partecipò attivamente anche alla Resistenza; in seguito alla sua detenzione presso il carcere di San Vittore nacquero i versi Aprile a San Vittore, una delle espressioni più intense della poesia partigiana, raccolti in seguito nel Quaderno di Mario Rossetti.
Dopo la seconda guerra mondiale, Solmi diresse La Rassegna d'Italia (fondata a Milano da Francesco Flora) e collaborò a diverse riviste, Il Baretti, Pegaso, Pan, Solaria. Nel 1948 per la poesia si aggiudicò il Premio Saint Vincent e l'anno dopo il premio Montparnasse. Vinse il premio Viareggio per due volte: nel 1963 per Scrittori negli anni e nel 1976 per la Luna di Laforgue. Dal 1968 fu membro dell'Accademia dei Lincei.
Al termine degli studi universitari, laureatosi in Giurisprudenza, iniziò a lavorare presso la Banca Commerciale Italiana come avvocato e consulente giuridico, occupazione che svolse per tutta la vita. Nel mondo culturale torinese di quel periodo conobbe Piero Gobetti con il quale condivise gli ideali di libertà maturati fin dall'instaurazione del regime fascista. Spinto dal grande pensatore torinese, Solmi iniziò a collaborare a La Rivoluzione liberale. Nel 1927 gli nacque il figlio Renato.
Negli anni quaranta Solmi partecipò attivamente anche alla Resistenza; in seguito alla sua detenzione presso il carcere di San Vittore nacquero i versi Aprile a San Vittore, una delle espressioni più intense della poesia partigiana, raccolti in seguito nel Quaderno di Mario Rossetti.
Dopo la seconda guerra mondiale, Solmi diresse La Rassegna d'Italia (fondata a Milano da Francesco Flora) e collaborò a diverse riviste, Il Baretti, Pegaso, Pan, Solaria. Nel 1948 per la poesia si aggiudicò il Premio Saint Vincent e l'anno dopo il premio Montparnasse. Vinse il premio Viareggio per due volte: nel 1963 per Scrittori negli anni e nel 1976 per la Luna di Laforgue. Dal 1968 fu membro dell'Accademia dei Lincei.
(da Wikipedia)
Opere di Poesia
Comete, Torino, 1923;
Fine di stagione, Lanciano, 1933;
Poesie, Milano, 1950;
Levania e altre poesie, Milano, 1956;
Dal balcone, Milano, 1968;
Poesie complete, Milano, 1974.
Poesie 1924 - 1972, a cura di Lanfranco Caretti, Mondadori, 1978
Piogge d'aprile
A queste interminabili piogge
d'aprile, si feltrano i passi,
si sfaldano le voci, si disfà
il mondo
in una nube di suoni assorditi.
L'acqua del cielo lava le muraglie
e i sonnolenti pensieri,
come le piante, le pene antiche
schiude, ma senza bruciore.
Il corpo tracolla
adagio nel grembo del tempo
che senza illuse promesse ci guida
e i desideri nutrisce
anonimi e diffusi come foglie.
Così, senza sapere,
nell'impercettibile mutamento
a un tratto, ci distacchiamo.
Fusi in creta molle
attendiamo l'onda volubile
che ci riplasmi.
La natura riscatta i nostri errori,
mali d'un frutto suo,
ci rende alle sue rive inermi e ignudi.
E anch'io alla tua insidia gentile
ai tuoi incantevoli pianti e sospiri
m'affido,
a te che improvviso all'anima
nel nimbo piovoso mi rechi
il tuo perdono,
bella stagione.
Bagni popolari
Uomo che sfioro per via col braccio
e sempre a me così paurosamente
estraneo, ti ritrovo
in questa bigia caserma, che grava
l'oscura sera di dicembre.
Tra gli scrosci dell'acqua, a mezza voce
un motivo tu accenni, ti fa eco,
invisibile, un altro.
Dal finestrino in sé raccolti tremano
gli alberi scarni del cortile.
Penso perché t'ho tradito, perché
l'istessa tua lingua io non parli, perché
l'eguale nostra pena
io debba in queste confuse parole
che non intendi, esprimere. La muta
poesia mi fa nodo in cuore. Questa
mano ch'io porgo, inutile
lasci cadere.
Ma stasera, invisibile, anch'io sono
un tuo fratello. Tra gli scrosci d'acqua
un motivo tu accenni, io seguo, un altro
fischiettando fa eco, un coro sorge.
Dalla dura ubbidienza quotidiana
sciolte alfine le membra dentro il lene
bagno domenicale, prigionieri
rassegnati, la timida
libertà nostra in musica s'esala;
a mezza voce, finalmente insieme,
miei fratelli, cantiamo.
Ritorno a una città
Risa di cielo alle finestre, case
colline strade discese
più tardi in sogno,
al carosello improvviso che un tuffo
d'aria attorno a un'edicola
finge
con ali variopinte di giornali,
mi turbinano in cuore. E il fiume denso
franto d'ombre di ponti, la regata,
il pulviscolo acceso di bandiere
ed il battere fermo delle pale.
Città che m'hai cresciuto
senza riparo
per queste vie rettilinee, per questi
interminabili viali, spazzati
dal vento,
la tua antica ferita non so ancora
peredonarti: e come
ad una donna che ci offese, e un giorno
dopo tanti anni
risale da un dolente sonno, ancora
torno a chiederti in lacrime
cosa m'hai fatto.
Lagrime in sonno, perduta elegia,
solo fievoli ombre e sensi, alcuna
tua cosa viva non mi giunge incontro.
discendo verso il fiume
tra i neri mirti del viale, e l'aria
scurisce, e tutto è consumato, e di tanta
vita e tanto dolore
più non affiora
che quel baluginio d'acque lontane,
fondo amaro del sangue, fantasia,
ridente nulla che in sillabe esprimo.
Più bruciante ti fai quanto più vano,
ti chiudo e tu mi sfuggi tra le dita,
volto della spietata adolescenza.
Brancolo sopra le tue pietre sorde,
tento le sconnessure dei ricordi,
immobile e rapito
ad occhi chiusi aspiro
questo tuo inebriante odor di morte.
Da Fine di stagione, in Poesie, Mondadori
A queste interminabili piogge
d'aprile, si feltrano i passi,
si sfaldano le voci, si disfà
il mondo
in una nube di suoni assorditi.
L'acqua del cielo lava le muraglie
e i sonnolenti pensieri,
come le piante, le pene antiche
schiude, ma senza bruciore.
Il corpo tracolla
adagio nel grembo del tempo
che senza illuse promesse ci guida
e i desideri nutrisce
anonimi e diffusi come foglie.
Così, senza sapere,
nell'impercettibile mutamento
a un tratto, ci distacchiamo.
Fusi in creta molle
attendiamo l'onda volubile
che ci riplasmi.
La natura riscatta i nostri errori,
mali d'un frutto suo,
ci rende alle sue rive inermi e ignudi.
E anch'io alla tua insidia gentile
ai tuoi incantevoli pianti e sospiri
m'affido,
a te che improvviso all'anima
nel nimbo piovoso mi rechi
il tuo perdono,
bella stagione.
Bagni popolari
Uomo che sfioro per via col braccio
e sempre a me così paurosamente
estraneo, ti ritrovo
in questa bigia caserma, che grava
l'oscura sera di dicembre.
Tra gli scrosci dell'acqua, a mezza voce
un motivo tu accenni, ti fa eco,
invisibile, un altro.
Dal finestrino in sé raccolti tremano
gli alberi scarni del cortile.
Penso perché t'ho tradito, perché
l'istessa tua lingua io non parli, perché
l'eguale nostra pena
io debba in queste confuse parole
che non intendi, esprimere. La muta
poesia mi fa nodo in cuore. Questa
mano ch'io porgo, inutile
lasci cadere.
Ma stasera, invisibile, anch'io sono
un tuo fratello. Tra gli scrosci d'acqua
un motivo tu accenni, io seguo, un altro
fischiettando fa eco, un coro sorge.
Dalla dura ubbidienza quotidiana
sciolte alfine le membra dentro il lene
bagno domenicale, prigionieri
rassegnati, la timida
libertà nostra in musica s'esala;
a mezza voce, finalmente insieme,
miei fratelli, cantiamo.
Ritorno a una città
Risa di cielo alle finestre, case
colline strade discese
più tardi in sogno,
al carosello improvviso che un tuffo
d'aria attorno a un'edicola
finge
con ali variopinte di giornali,
mi turbinano in cuore. E il fiume denso
franto d'ombre di ponti, la regata,
il pulviscolo acceso di bandiere
ed il battere fermo delle pale.
Città che m'hai cresciuto
senza riparo
per queste vie rettilinee, per questi
interminabili viali, spazzati
dal vento,
la tua antica ferita non so ancora
peredonarti: e come
ad una donna che ci offese, e un giorno
dopo tanti anni
risale da un dolente sonno, ancora
torno a chiederti in lacrime
cosa m'hai fatto.
Lagrime in sonno, perduta elegia,
solo fievoli ombre e sensi, alcuna
tua cosa viva non mi giunge incontro.
discendo verso il fiume
tra i neri mirti del viale, e l'aria
scurisce, e tutto è consumato, e di tanta
vita e tanto dolore
più non affiora
che quel baluginio d'acque lontane,
fondo amaro del sangue, fantasia,
ridente nulla che in sillabe esprimo.
Più bruciante ti fai quanto più vano,
ti chiudo e tu mi sfuggi tra le dita,
volto della spietata adolescenza.
Brancolo sopra le tue pietre sorde,
tento le sconnessure dei ricordi,
immobile e rapito
ad occhi chiusi aspiro
questo tuo inebriante odor di morte.
Da Fine di stagione, in Poesie, Mondadori
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