La poesia che apre Sciarra amara, "Pupara sono", è stata musicata nel 2013 dal compositore Claudio Ambrosini (La pupara, madrigale a cinque voci).
Fendenti fonici, Milano, Società di poesia, 1982
Il collettame, Milano, Società di poesia, 1985
La clausura, Milano, Crocetti, 1987
Medicina carnale, Milano, Mondadori, 1994
L'occhio dormiente, Venezia, Marsilio, 1997
La stortura, Milano, Garzanti, 2002
La tagliola del disamore, Milano, Garzanti, 2005
Le foglie del decoro, xilografie originali di Marina Bindella, Milano, Quaderni di Orfeo, 2007
Tutte le poesie 1977-2006, Milano, Garzanti 2007
Satura di cartuscelle, Roma, Perrone, 2008
Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina, Milano, Viennepierre, 2009
Turbativa d'Incanto, Milano, Garzanti, 2012
Cronologia delle lesioni, Milano, Luca Sossella editore, 2017
pupara sono
e faccio teatrino con due soli pupi
lei e lei
lei si chiama vita
e lei si chiama morte
la prima lei percosìdire ha i coglioni
la seconda è una fessicella
e quando avviene che compenetrazione succede
la vita muore addirittura di piacere.
ma chi ti fotte e pensa
troia d’una porca
tutta incrugnata sulla vita
venni per accattare vita
come m’ha fottuto
il banditore
finta che non mi vede
bastò un rovescio di mano
e addio pane e piacere
lo stretto necessario
per campare
per non dare sazio a quella rompina
rompigliona rompiculo d’una morte
la vita se ne va
con gli occhi aperti
faccia di sticchiozuccherato
non aspettarti gioie
da minchiapassoluta
non finiremo mai di fare
sciarra amara
nessun compare ci metterà
la buona parola
tu stuti le candele
che io allumo
padella non tinge padella
ma la mia è forata
e cola vita
la vita ha profumo di vita
così dolce
che scolla i santi
dalla croce
scippa fracassa
scafazza e scrocchia
torna e vuole conto
e ragione
la morte
come le santocchie
ama dio e fotte il prossimo
la vita e la morte allato vanno
transeunti per lo stesso porticato
comincia dolcechiaro finisce amaroscuro
i piedi reggono esattamente
quanto io ho levati
non mi fare il solletico
vita bella e affatturata
non avea catene al collo
né debito di coscienza
dopo la sua porcapedàta
non sa più spendersi
con chi le pare e piace.
La tagliola del disamore
dove dove sei
anima mia sfiorami
non vedo
anima mia chiavicona sconciata
smantecata e sgualdrappata
non ti vedo più
ho la vista tappata e la testa ingravidata
schizzata spappolata
sono io che cammino sul muro
sono io che m’arrampico dove?
dove sono? tienimi
non lasciarmi cadere indietro
afferrami
non lasciarmi scivolare
nel vuoto nel niente
nel dentro delle ventraglie incordate
nel sacco di merda che sono che siamo
tirami per i capelli
ferma l’occhio strabico e guardami
guardami dentro la palla degli occhi
e toccami il naso il culo le orecchie
dimmi che sono qui che sono in piedi
e sto parlando con te
e non girare lo sguardo altrove
in chissà quale pagliaio e verminaio
in quale porcilaio o angiolaio
ma fammi vedere che non è solo sangue e fuoco
uranio e mucca pazza
organi strappati e gole e budella strappate
ascesso e pus
carogna e fogna
sulla terra
anima mia sconsacrata scoreggia
portami al mare
e vèstiti d’azzurro
e spogliami spogliami
io non ho niente
e tu sei finita sbausciata
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