mercoledì 28 maggio 2025

CALOGERO Lorenzo (1910 - 1961)

Lorenzo Calogero (Melicuccà, 28 maggio 1910 – Melicuccà, 25 marzo 1961) è stato un poeta italiano. Terzo di sei fratelli, nacque a Melicuccà, in provincia di Reggio Calabria, nel 1910 da famiglia benestante. Si laureò in medicina a Napoli nel 1937 e l'anno dopo conseguì l'abilitazione all'esercizio della professione medica a Siena. La sua fu una vita interiormente tormentata e ossessionata dal pensiero della morte. Dopo due tentativi di togliersi la vita (1942 e 1956), morì in circostanze mai chiarite nel paese natale, in estrema solitudine. Il 21 marzo 1961 Calogero fu visto per l'ultima volta dai vicini di casa; il suo cadavere fu scoperto tre giorni dopo, steso sul letto della sua camera. Viene citato in diversi testi di critica letteraria. Le sue poesie furono pubblicate, a cura di Roberto Lerici, dalla omonima casa editrice di Milano tra il 1962 e il 1966. Nella raccolta di poesie Come in dittici, edita dalla casa editrice MAIA (Siena) nel 1956, si scorge già in lui quella crisi psichica, aggravatasi anche a causa del peggiorare delle condizioni di salute fisica, che lo porterà alla perdita del controllo sui sentimenti. Nel numero 37 di Nuovi argomenti della Arnoldo Mondadori Editore (gennaio-marzo 2007) sono pubblicate alcune poesie inedite. I suoi manoscritti sono stati conservati presso la Casa della Cultura Leonida Repaci di Palmi fino al marzo 2009, quando per iniziativa della Regione Calabria, alla quale la famiglia ne aveva affidato la custodia circa 20 anni prima, e dell'Università della Calabria sono stati prelevati per essere archiviati in forma digitale sì da permetterne l'accesso agli studiosi.


da COME IN DITTICI (1954-56)

RIMANE FRA ME E TE

Rimane fra me e te questa sera
un dialogo come questo angelo
a volte bruno in dormiveglia
sul fianco. Non ti domando
né questo o quello, né come
da materne lacrime si risveglia
di notte il tuo pianto.

Se i tormenti sono tristi,
l’edera non è mattina o si colora.
Si vela o duole una viola
e dondola nube odorosa
su l’orizzonte lucida di brina.
Ecco quanto di tanta vana speranza resta
o fugge rapida o semplicemente,
silentemente accade.
I carnosi veli, i velli di bruma,
le origini stellate assalgono l’aria,
le tumide vene delle vie le ore.

Non l’eco rimbalza
due volte sulle rocce, su questo
prato, ove sono rosse, e, di rosso
in rosso, è vano il pallido velluto
ora rosa ora smosso.

Non si parla né triste né lieto;
e presto o tardi, perché a fior di labbro
gentilmente nel filo tenue dell’erba
tristemente lacerando si risveglia
la tua sera accanto, dolcemente
io ti domando.


da MA QUESTO… (1950-54)

ABITI, SVOLAZZANTI CAPPELLI

Abiti, svolazzanti cappelli
e guanti portano e l’alito
di una canzone che batte in fronte
e il mesto bagliore degli occhi
trattiene; e se i venti
sono senza confine, ecco,
sulle tegole rosse, appaiono
leggere le muse; e cime
e città fantastica stanno con gioia,
ora che olio versa
da una vana lucerna una vana fanciulla
e paesi persi del tempo
in una luce che li smorza gemono
in una vana rincorsa.


da POCO SUONO (1933-35)

ESSENZA DEL POETA

Sono il solitario origliare
di ciò che dorme.
Perciò scrivo
Colla tacita mano,
l’occhio rivolto ai sonni.


da QUADERNI DI VILLA NUCCIA (1959-60)

XVI

… Ma passeggiando di nottetempo
odo questo cinguettio
e un’allodola è come una fronda,
una luce calata dal desiderio del cielo.
Ma, vedi, sono costretto anch’io
e ai piedi, umile, è una tomba
e quando spira vento autunnale
sono vento anch’io.

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