Biagio Cepollaro (Napoli, 4 giugno 1959) è un poeta italiano. È stato fondatore insieme a Mariano Baino e a Lello Voce della rivista Baldus (1990-1996) dedicata alla sperimentazione letteraria. Teorico del 'postmoderno critico', è stato tra i promotori del Gruppo 93, considerato un gruppo di avanguardia letteraria. Dal 2004 ha avviato, sul suo sito ufficiale, le edizioni on line di Poesia italiana E-book che comprendono ristampe di opere poetiche e narrative stampate tra gli anni '70 e '90 e la pubblicazione di inediti di poeti più giovani, nonché una rivista di poesia, Poesia da fare, e una rivista di critica, Per una Critica futura. Attualmente collabora alla redazione della storica rivista il Verri.
“La poetica di Biagio Cepollaro affonda le radici nelle esperienze post-avanguardistiche degli anni Ottanta. Già le prime raccolte, improntate al materialismo e all’espressionismo, risentono dei contatti dell’autore con le più ardite sperimentazioni visive, sonore e verbali. Assieme ai sodali della rivista Baldus, Cepollaro si immerge appieno nell’esperienza del Gruppo 93 apportando il proprio contributo tecnico e critico, che può riassumersi nei concetti di postmoderno critico, montaggio, citazionismo e pastiche idiolettico. La lingua della trilogia De requie et natura – conclusasi verso la metà degli anni Novanta − subisce una profonda torsione tesa a rivendicare il potere critico della parola nel magma dell’appiattimento di marca postmodernista. Ma a partire da Versi nuovi − scritti sul finire del '900 − e ad arrivare alla recente trilogia del Poema delle qualità, l’autore napoletano riduce il tasso di figuralità dei suoi versi e insegue un grado zero finalizzato a reclamare la priorità di un’esistenza immediata, terrena e immanente, che risente del pensiero buddista, forse ultimo baluardo alla massificazione dei consumi e dell’ideologia capitalistica.” (da Angelo Petrella, Il corpo della poesia. Sperimentazione e immanenza nell'opera di Biagio Cepollaro, il verri n. 64, giugno 2017, pagg. 133 -145)
Da Al centro dell’inverno, L’arcolaio, Forlì, 2018
1.
il corpo ad un certo punto lascerà la presa e il suo tocco
non modificherà più neanche di quel poco l’andamento
scuro delle cose che gli scorrono più prossime.
di vicinanza ha fatto campo da lavoro e ogni giorno
ha trafficato di semina e raccolto di parola detta
e di ascolto. niente si è atteso mentre dicendo è stato
2.
il corpo non sa se o da dove si avvisterà
il primo tratto della speranza: l’Occidente
avvitato su se stesso inizia la sua implosione
dividendosi all’interno. la forma che nel tempo
si è data per lo scambio ha portato l’intera
specie all’estinzione. ma invece di frenare
sull’orlo del precipizio sembra accelerare
3.
il corpo ora sa che in suo potere vi è solo
la parola da formulare: nella sua bocca
prende forma rotonda un concentrato di pensiero
e passione l’uno nell’altra fusi
in una posizione. il dire è significare il mondo
non descriverlo né raccontarlo: che il senso
si dice e si misura nell’ascolto di chi resta
4.
il corpo ha posto i confini della sua solitudine
sciolto il dramma ne ha fatto misura di respiro
ora il senso di volta in volta scaturisce
da un incontro anche mancato: gli altri
si danno da fare per farsi notare e si dannano
per farsi ricordare. il non essere si sfalda ogni giorno
nell’andare e nel venire finché dritti o curvi si muore
5.
il corpo nell’afa fatica a respirare: l’aria mossa
dai ventilatori è solo aria che si sposta. resta
la stessa la condizione come quella d’Occidente
preso dalla favola della “crescita” senza fine
e senza senso e dal controllo di massa sul dissenso
6.
il corpo ai margini del crollo d’Occidente desidera
mettere in salvo i manufatti di parole da cui un giorno
forse l’umanità potrà ripartire. così fu per l’antico
Medio Evo così è per questo nuovo: in salvo le parole
ancora potranno risuonare alla fine della prossima notte
7.
il corpo ai margini della speranza d’Occidente si chiede
come accade che d’improvviso la folla dei corpi sottomessi
possano ribellarsi e riscattare le attuali vittime della forza
come si diffonde il virus benefico che renda intollerabile
il comando spingendo corpi inerti a prodigiosi moti
8.
il corpo ora vede come tutte le espressioni che scorrono
sugli schermi si mescolano con bocche eguali
anche se diversi sono i palati e diversi i denti: nessuno
vieta di parlare anzi a tutti l’incoraggiamento a dire
è il modo questo per sgretolare l’Occidente che s’infutura
in uno stagno sempre presente da cui non si può uscire
9.
il corpo sa che le sue felicità sono possibili solo
all’interno dell’Occidente dato ma al suo crollo
non si fa debole la bellezza del mattino e il mare
risuona come all’inizio il suo canto: è per coloro
che verranno la pena e per ciò che vi troveranno
10.
il corpo tra speranza e crollo d’Occidente si estenua nel suo piacere
il tempo senza storia è diventato pura tensione e intensità dell’ora
amicizia e amore fanno corona all’impegno di ogni giorno
a dire nelle forme più varie ciò che sembra vero. un ricordo di noi
forse costruiamo: di corpi all’opera nel fare la dignità dell’insieme
11.
il corpo ai margini del crollo destina le sue parole
al sogno del futuro: ora si tratta solo di proteggere
la trasmissione. di bocca in bocca il sapere torna
ad essere orale e ciò che è vero è un modo di fare
12.
il corpo ha fatto del dire il sogno del suo ritmo: il nero
sullo sfondo e intorno da sempre ha richiesto un raggio
di piacere e presenza un antidoto buono a fare di poco
un mondo: la forma dell’arte è niente senza questo
discernimento: la lotta sulla terra è fare del giorno cielo
Da Luna Persciente
6.
(La girandola degli Annaspanti)
mò ca semo giunti ce pare
a’ capa cchiù pesante e
pesanti li piedi pè sta sabbia
tra li diti mò ch’avemo lassiato
li orologi fermi e sfatto er nodo
da’ cravatta como c’empatta sta terra
sbriciolata tutta scagliata
de lattine e vetri tutta sventrata
de strati essiccati l’aria se staglia
chiara ma anco ad alzar li ochi
nun c’è senso sfiatano i tubi
tuttointorno e sracchiano
le gomme da sopra e sta capa
s’appesa de tanta schiattanza
se fumano er tabacco se fanno vapori
s’annerano li pulmoni securi
er fummo scenne più spedito
per li geli ca a pensarci a me
me stringe la gola sto mare
de frattaglia nmezzo alle vele
nmezzo alla battaglia ste scaglie
d’osso e de reposto sta sciucco
d’orina negli angoli sto blue
de salmonella circolante
e sta nell’agguato al primo sole
ch’è calore soffogoso na gelatina
ca scioglie er dito a toccarla la
perla diceva de sudore primma ca scende
se rallenta per ruga se sdraia molla
sulla fronte e manco lo schampoo
se smolla lavica grugnosa te dici
m’aizo me e sollevo me vòto ntorno
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