giovedì 29 maggio 2025

LEONETTI Francesco (1924 - 2017)


Francesco Luigi Antonio Leonetti (Cosenza, 27 gennaio 1924 – Milano, 17 dicembre 2017) è stato uno scrittore, poeta, giornalista e docente italiano.
Nato a Cosenza, ma cresciuto a Bologna, fu uno scrittore espressionista, esaltatore della realtà, misuratosi sapientemente con le maggiori esperienze letterarie del Novecento. Amico di Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi, con loro partecipa come redattore alla fondazione della rivista Officina, nel 1955. Negli anni sessanta partecipa alla stesura de Il Menabò, rivista culturale fondata da Elio Vittorini e Italo Calvino. Questa esperienza lo porta ad aderire al movimento della Neoavanguardia alla continua ricerca di nuove sperimentazioni formali. Collabora ancora con Pasolini, recitando la parte di Erode ne Il Vangelo secondo Matteo (1964), del servo di Laio in Edipo re (1967) e del marionettista in Che cosa sono le nuvole? (1968); inoltre dà la voce al corvo di Uccellacci e uccellini (1966) e all'oste de I racconti di Canterbury (1972). Nel 1967 è cofondatore con Carlo Oliva (responsabile legale) e Roberto di Marco, Gianni Scalia del 1° numero della rivista Che fare; fu stampata, con quella redazione, fino al numero 10 del maggio 1972; la nuova serie, di cui uscirono il 1º e il 2º numero, era diventata la rivista teorica del Partito Comunista (Marxista-Leninista) Italiano (con lui in redazione Enzo Todeschini, Fausto Lupetti e Roberto di Marco). In seguito, anche a causa di molteplici sviluppi in quella organizzazione, Che fare ebbe un'ulteriore rinascita a cura della casa editrice di Milano, Lavoro Liberato, sotto forma di fogli piegati in numero di 4, dal febbraio a giugno 1975. Nell'ottobre 1971 è tra i firmatari di un'autodenuncia pubblicata su Lotta Continua in cui esprimeva solidarietà verso militanti e direttori responsabili del giornale inquisiti per istigazione a delinquere. Negli anni ottanta torna alla scrittura, entrando nella redazione della rivista Alfabeta per poi fondare alla fine degli anni novanta Campo. Ha insegnato Filosofia ed Estetica all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.

Pubblicazioni di poesia:
Sopra una perduta estate, Bologna, Libreria antiquaria Landi, 1942.
La cantica, Milano, A. Mondadori, 1959.
Percorso logico del '960-75. Poema, Torino, Einaudi, 1976.
In uno scacco. (Nel settantotto), Torino, Einaudi, 1979.
Palla di filo. (Poemetto con commento), Lecce, Manni, 1986.
Le scritte sconfinate, Milano, Libri Scheiwiller, 1994.
Sopra una perduta estate. Poesie scelte. 1942-2001, Milano, No Reply, 2008.
 
Il piede

Questo il mio
bellissimo potente piede;
rotto piagato appoggiato esposto.
Oh che puzzo!
Sono un perdente,
un ribelle infame al dio del denaro.
Amen.
Vengo dal campo dei villani fottuti,
degli insolenti operai, degli intellettuali di merda.
lo con questo,
con questo calciavo all’inferno
i signori e i padroni e i ministri del dio.
E ora, dove è andato il mio piede invitto? Oh meschino!
Non è più grande, non ha un fine,
non ha neppure un seggio.
C’erano una volta i Saraceni, Attila, i Gialli;
ci risaremo noi, ritornati un dì
nel millennio terziario di bancate globali.
 
Riassunti mondiali
1.
I corpi in trincea a buchi / bombardati da velivoli.
E quindi si solleva in su / la crosta terrena stessa.
È lava rossa, espansa; / è movimento come in noi, si esulta.
Ma per bloccare l’impeto / caldo umano sono scaricati
addosso i massi giù / dai mostri meccanici in cielo.
Oh non c’è un bell’essere / diabolico fra noi capace
di rispondere ribelle e / battere l’irragione al dominio.
2.
Qui c’è solo la cosa del lavoro e la foia.
Ma stiamo per ore allo schermo mirando.
Le giostre, le sfide, con camere addosso.
Da vedenti. Il caracollante occidentale
attacca coi suoi fendenti a spada corta.
L’altro d’oriente col sandalo pesta fango:
per levare gli schizzi fulminei nella cura
di percezione del dettaglio trasversale
durante i sobbalzi dei passaggi continui.
La stilla infine all’occhio acceca quello…
Ma non era che un’ombra, una sagoma esposta:
si ripresenta, duplicata presenza, il cavaliere
dell’occidente e un musulmano è in campo.
Qui si combatte a pezzi per le lunghe notti.
Solo il guardare i grandi ci è concesso.
Ahi mai nessuno muore fra i campioni presto.
3.
Vengono i mali giù dai mostri meccanici in cielo.
Un bell’essere diabolico non c’è più in noi indigeni.
 
Marcia di festa

Miserie non portiamo, ma ragioni
e in mezzo a voi
in marcia vi avvertiamo … E’ nel salario
una vita migliore
ché dove quello basti
ha questa il suo valore. E della classe
ecco le mire:
essere uguale
e più in alto soffrire, non da vile.
Se ora il turno è più corto
se la giornata non è tutto il giorno;
e se chi sangue trova nel suo sputo,
e chi si strazia, stanco a un ingranaggio,
non deve più offrirsi
al mondo con i cenci per convincere
pietà negli insolenti… non fu grazia
e ricordiamo quanto
occorse affanno, già non si dimentichi!
E si festeggia questo bene scarso,
non un parto regale, od un macello;
e si ricordano
i morti sul selciato
e lentamente
andiamo, uniti, con bandiere aperte.
Noi vi avvisiamo
col nostro passo
che se cercate chi mutando i tempi
il lavoro riunisse all’ubbidienza,
non c’è forca che giova.
E’ il giorno pieno della nostra festa;
né ci saranno fiumi, né fortezze,
noi v’avvisiamo,
in altra guerra di nazioni; più
a separarci
non ci saranno fossi;
e moriranno i capi, e i loro servi,
che mandano le genti
per un giuoco di terre a fare morte.
Noi diamo alla fatica ogni giornata
dove si batte, lima, sforza, incastra:
ed escono di qui
le sfere, i mozzi, i cavi,
gli spilli con la punta e la capocchia.
E lavoro la vita;
ma chi vanta in un marchio il suo cognome
felicemente iscritto,
accresce con le vendite i suoi zeri;
e quanto gli assicuri
avremo forze
utili il giorno poi, dà tanto a noi …

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