domenica 13 luglio 2025

#stranieri / VUONG Ocean (1988 - viv.)

 

Vương Quốc Vinh, conosciuto con il nome d'arte Ocean Vương (Ho Chi Minh, 14 ottobre 1988), è un poeta e scrittore vietnamita naturalizzato statunitense.
Nato a Ho Chi Minh nel 1988, quando aveva 18 mesi la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti, ad Hartford, nel Connecticut, ed è stato cresciuto dalla madre, dalla nonna e da una zia.
Dopo aver conseguito un B.A. al Brooklyn College, nel 2016 ha ottenuto un Master of Fine Arts all'Università di New York.
Nel 2010 ha esordito con la raccolta di liriche chapbook Burnings, alla quale hanno fatto seguito No nel 2013 e Cielo notturno con fori d'uscita tre anni dopo, grazie alla quale ha ottenuto il Forward Poetry Prize per la migliore raccolta di debutto nel 2017.
Il suo primo romanzo, Brevemente risplendiamo sulla terra, connubio tra romanzo di formazione, memoir e autofiction, è uscito nel 2019 negli Stati Uniti.
Vive a Northampton e insegna alla University of Massachusetts Amherst.

Opere di Poesia
Burnings (2010)
No (2013)
Cielo notturno con fori d'uscita (Night Sky with Exit Wounds, 2016), traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, Milano, La Nave di Teseo, 2019
Il tempo è una madre (Time is a mother, 2022), traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, Milano, Guanda, 2023.


Un giorno amerò Ocean Vuong 

Ocean, non avere paura.
La fine della strada è tanto distante
che è già alle nostre spalle.
Niente paura. Tuo padre è tuo padre soltanto
finché uno di voi non se ne dimentica. Come le vertebre
non si ricorderanno le proprie ali
a dispetto di tutte le volte che le tue ginocchia
baceranno il lastrico. Ocean,
mi ascolti? La parte più bella
del tuo corpo è ovunque
si proietta l’ombra di tua madre.
Ecco la casa con l’infanzia
ridotta a un unico cavetto rosso, innesco di mina.
Niente paura. Basta che lo chiami orizzonte
& non lo raggiungerai mai.
Ecco l’oggi. Salta. Ti garantisco non è
una scialuppa di salvataggio. Ecco l’uomo
dalle braccia ampie abbastanza da accogliere
il tuo andartene. & ecco l’attimo
subito dopo spente le luci, in cui ancora scorgi
la flebile fiaccola tra le sue gambe.
E come la usi, ripetutamente,
per ritrovare le tue mani.
Hai chiesto un’altra chance
& ti viene concessa una bocca da cui svuotarti.
Non avere paura, gli spari
sono solo il rumore di gente
che cerca di vivere un po’ più a lungo
& non ce la fa. Ocean. Ocean –
alzati. La parte più bella del tuo corpo
è il luogo verso cui si dirige. & ricorda,
la solitudine è comunque tempo trascorso
insieme al mondo. Ecco
la stanza in cui ci sono tutti.
Gli amici morti che ti
attraversano come il vento
che soffia tra i sonagli a vento. Ecco una scrivania
con la gamba zoppa & un mattone
per farla durare. Sì, ecco una stanza
così calda & vicina al sangue
che giuro, ti sveglierai –
& crederai che questi muri
siano pelle.


Un po’ più vicini al baratro 

Giovani abbastanza da credere che niente
li cambierà, scendono, mano nella mano,
nel cratere della bomba. La notte piena
di denti neri. Il Rolex falso di lui, settimane
dopo essere andato in frantumi sulla guancia di lei, adesso
s’affievolisce come una luna in miniatura dietro la sua chioma.
In questa versione il serpente è senza testa – reso immobile
come una corda sciolta dalle caviglie degli amanti.
Le solleva la gonna di cotone bianco, rivelando
un’altra ora. La mano di lui. Le mani. Le sillabe
dentro di loro. O padre, O premonizione, stringiti
a lei – mentre il prato viene lacerato
dagli stridi dei grilli. Mostrami come la rovina costruisce una casa
fatta di femori e anche. O madre,
O mano minuta, insegnami
ad abbracciare un uomo come la sete
abbraccia l’acqua. Fa’ che ogni fiume invidi
le nostre bocche. Fa’ che ogni bacio percuota il corpo
come una stagione. Dove le mele tuonano
sulla terra con zoccoli rossi & io sono tuo figlio.

A mio padre / A mio figlio futuro

Le stelle non sono ereditarie.
Emily Dickinson

C’era una porta & poi una porta
                  circondata da una foresta.

                        Guarda, i miei occhi non sono
             i tuoi occhi.

                     Ti muovi in me come pioggia
                                        udita
                           da un altro paese.
Sì, tu hai un paese.
                            Un giorno lo troveranno
                mentre cercano navi naufragate…

Una volta mi sono innamorato
               durante un incidente d’auto al rallentatore.

Avevamo un’aria così pacifica, la sigaretta alla deriva dalle sue labbra
                   mentre le teste frustavano all’indietro
               nel sogno & tutto
                             veniva perdonato.

           Perché quello che hai udito, o che udrai, è vero: ho scritto
un’ora migliore sulla pagina

                  & ho guardato il fuoco riprendersela.

C’era sempre qualcosa che bruciava.
                  Capisci? Chiudevo la bocca
ma sentivo ancora il sapore di cenere
                         perché ero ad occhi aperti.

Dagli uomini ho imparato a lodare lo spessore dei muri.
                               Dalle donne
                       ho imparato a lodare.

               Se ti venisse dato il mio corpo, fallo sdraiare.
Se ti viene data una cosa qualsiasi
                    assicurati di non lasciare
                                tracce nella neve. Sappi

             che non ho mai scelto
in che modo mutano le stagioni. Che è sempre stato ottobre
                               nella mia gola

                & in te: ogni foglia
                              si rifiuta di arrugginire.

            Svelto. Lo vedi il buio rosso che cambia sfumatura?

Significa che ti sto toccando. Significa
                        che non sei solo – perfino
               quando non sei.
                        Se arrivi prima di me, se pensi
                                       a niente
& la mia faccia appare, increspata
              come una bandiera lacera – torna indietro.
Torna indietro & vai a cercare il libro che ho lasciato
                      per noi, colmo
                           di tutti i colori del cielo
                dimenticato dai becchini.
                                        Usalo.

Usalo per provare che le stelle
                   sono sempre state quello che sapevamo

                fossero: i fori d’uscita
                              di ogni
                     parola che ha fatto cilecca.


(Traduzioni di Damiano Abeni e Moira Egan da “Cielo notturno con fori d’uscita”, La nave di Teseo, 2017)


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