Iscritto al severo Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le traduzioni dal greco e dal latino il giovane Michelstaedter ha i primi approcci con la speculazione filosofica. A iniziarlo sono il suo professore di filosofia, Richard von Schubert-Soldern, fautore del solipsismo gnoseologico, secondo il quale tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Enrico Mreule, ex compagno di classe, che gli fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resterà traccia soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Nino Paternolli, oltre a Schopenhauer, leggerà e discuterà, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi, Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen.
Conclusi nel 1905 gli studi ginnasiali, Carlo progetta di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla facoltà di matematica dell'Università di Vienna. Ma l'anima è già – per dirla con Leopardi – «nel primo giovanil tumulto» verso un altrove ch'egli non riesce a riconoscere nella ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà, fra gli altri, Gaetano Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, Vladimiro Arangio-Ruiz, in seguito noto filosofo accademico e Augusto Hermet, scrittore, saggista e traduttore. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle recensioni di drammi teatrali. Nel 1907 propone a Benedetto Croce la traduzione in lingua italiana di Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer[3] ma non riceverà mai risposta. Nell'aprile di quello stesso anno si era suicidata anche una donna da lui amata, Nadia Baraden (nata Haimowitch), una anarchica di origini russe, sconvolgendolo profondamente. Due anni dopo, nel 1909 un altro grave evento luttuoso segna la sua vita: la morte, per suicidio, del fratello Gino (di dieci anni più vecchio), emigrato a New York. Nell'ottobre dello stesso anno l'amico Enrico Mreule parte per l'Argentina. Questa partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del testimone: Carlo si fa consegnare da Rico la pistola che portava sempre con sé.
Tra il 1909 e il 1910, completati gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea, assegnatagli dal docente di letteratura greca, Girolamo Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in Platone e Aristotele. La sua attività è febbrile: oltre alla Persuasione scrive anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia pochissimo e dorme per terra, come un asceta; vede solo la sorella e il cugino Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi «non avrebbe fatto il professore, ma che appena laureato sarebbe andato al mare», forse a Pirano o a Grado.
Il 17 ottobre 1910, dopo un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Enrico Mreule e si toglie la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una "fiorentina", una lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi».
Amici e parenti pubblicarono le sue opere e raccolsero i suoi scritti, ora alla Biblioteca Civica di Gorizia. Michelstaedter è sepolto nel cimitero ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a poche centinaia di metri dal confine con l'Italia.
Opere
Opere, a cura di G. Chiavacci, Sansoni, Firenze 1958
Scritti scolastici, a cura di Sergio Campailla, Gorizia 1976
Opera grafica e pittorica, a cura di Sergio Campailla, Gorizia 1976
Il dialogo della salute e altri dialoghi, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 1988
Poesie (1905-1910), a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 1987
La Persuasione e la Rettorica (1910), a cura di Vladimiro Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova 1913; edizione critica a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 1982 (poi, con le Appendici critiche, ivi, 1995).
Epistolario, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 1983; nuova edizione riveduta e ampliata, ivi, 2010
Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano 2003
L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, a cura di David Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia 2005
Dialogo della salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano 2009
La melodia del giovane divino, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 2010
La persuasione e la rettorica, edizione critica, a cura di A. Comincini, Joker, 2015.
Poesie (1905-1910), Raffaelli Editore, Rimini 2024
Nostalgia
Ma un vento lieto giù
dalla montagna
invade la natura senza luce
che per pioggia e
per nebbia si dissolve
e delle nubi oscure la continua
trama
dirompe, e la diffusa nebbia
leva ed in lembi bianchi la
sospinge
giocosamente;
e ride il sole volto ad occidente
ed
i monti lontani e le colline
boscose e la pianura
risuscita
ugualmente illuminando
nella lor gloria varia
delle ben note
forme all'abitante.
Ma splendono più chiare e più
serene
festevolmente,
poiché più luminosi si rimandan
i
generosi a lor raggi del sole.
Riluce il monte e il piano
e il
ciel riluce
di verde luce presso all'orizzonte,
e in alto
nell'azzurro
l'ultime nubi fuggono ed il sole
con lieto
riso
tinge di rosa gli orli alle fuggenti.
Ahi! come tutta
la natura in breve
si rasserena
nella pacata luce,
e la pena
passata e il lungo tedio
dei giorni grigi oblia: ché solo a
gioco
s'era offuscata: ed or con nuovo gioco
si rinnovella
e
rifulge più pura.
Ma il cor mi punge con tristezza amara
che
il dì ripensa della gioia
e l'alba luminosa e la speranza
folle
e sicura, quando
con lieto viso incontro al nuovo sole
levai il
primo canto, e la sua luce
era certa promessa alla mia speme
-
e le dolci figure del mio sogno
che appena avvicinate
dileguaro
tristi, perch'io ver lor fervidamente
mi
protendessi
e in me le volessi, me stesso in loro
tutto
esaurire.
Voler e non voler per più volere
mi trattenne
sull'orlo della vita
ad angosciarmi in aspettar mia volta
ed ai
giucchi d'amore ed alle imprese
giovanili mi fece disdegnoso.
-
A qual pro? Ma alla veglia dolorosa
una fiamma splendeva e la
nutriva
una speme più forte.
Ché se al lieto commercio e del
piacere
al giocondo convito l'imperioso
battere mi togliea del
mio volere
impaziente, e mi togliea '1 fatale
precipitar
dell'ora, nel futuro
pur m'indicava la mia ferma fede
un giorno
ed una gioia senza fine
e l'affrettava.
Ahi, quanto pur
m'illuse la mortal
mia vista che di fuor ci finge certo
quanto
ci manca sol perché ci manca -
"vuoto il presente, vuoto nel
futuro
senza confini ogni presente, placa
il voler tuo
affannoso!
non chieder più che non possa natura!".
Ma il
cor vive, e vuole, e chiede e aspetta
pur senza speme, aspetta e
giorno ed ora
e giorno ed ora né sa che s'aspetta
e
inesorabilmente
passano l'ore lente.
Così è fuggita e fugge
giovinezza
ed i miei sogni e la speranza antica
nel mio cupo
aspettar ancor ritrovo
insoddisfatti.
Che mi giova o natura
luminosa
l'armonia del tuo gioco senza cure?
Ahi, chi il tuo
ritmo volle preoccupare
rientrar non può nei tuoi eterni giri
ad
ozïare
nel lavoro giocondo ed oblioso.
È suo destino attender
senza speme
né mutamento,
vegliando, il passar de l'ore
lente.
Dicembre 1909
(antivigilia dell'anno nuovo)
* * *
Se camminando vado solitario
per
campagne deserte e abbandonate
se parlo con gli amici, di
risate
ebbri, e di vita,
se studio, o sogno, se lavoro o
rido
o se uno slancio d'arte mi trasporta
se miro la natura ora
risorta
a vita nuova,
Te sola, del mio cor dominatrice
te
sola penso, a te freme ogni fibra
a te il pensiero unicamente
vibra
a te adorata.
A te mi spinge con crescente furia
una
forza che pria non m'era nota,
senza di te la vita mi par
vuota
triste ed oscura.
Ogni energia latente in me si
sveglia
all'appello possente dell'amore,
vorrei che tu vedessi
entro al mio cuore
la fiamma ardente.
Vorrei levarmi verso
l'infinito
etere e a lui gridar la mia passione,
vorrei
comunicar la ribellione
all'universo.
Vorrei che la natura
palpitasse
del palpito che l'animo mi scuote...
vorrei che
nelle tue pupille immote
splendesse amore. -
Ma dimmi,
perché sfuggi tu il mio sguardo
fanciulla? O tu non lo comprendi
ancora
il fuoco che possente mi divora?...
e tu
l'accendi...
Non trovo pace che se a te vicino:
io ti
vorrei seguir per ogni dove
e bever l'aria che da te si muove
né
mai lasciarti. -
31 marzo 1905
* * *
Poiché
il dolore l'animo m'infranse
per me non ebbe più la vita un
fiore...
e pure inconscio iva cercando amore
l'animo
offeso.
Ahi ti vidi e a te il pensier rivolsi
a te che pura
sei siccome un giglio...
... Le lacrime mi sgorgano dal
ciglio
invirilmente.
Oh mia fanciulla, oh tu non hai
compreso
di quanto amore io t'ami. Ed un dolore
nuovo, più
intenso mi attanaglia il cuore
che tu feristi.
Se m'ami
Elsa a che mi fai soffrire?
Tu della vita mia unico raggio
tu
che sola m'infondi quel coraggio
che mi fa vivo!
Lo sguardo
mio non t'ha saputo dire
non t'han saputo dir le mie parole
quello
che dice all'universo il sole,
amore! amore!?
3 aprile 1905
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