Silvia Bre (Bergamo, 1953) è una scrittrice, poetessa e traduttrice italiana. Le sue poesie sono tradotte in francese, inglese, spagnolo, olandese, serbo-croato, sloveno, ungherese, coreano. Nata a Bergamo nel 1953, vive da molti anni a Roma.
Ha esordito nel 1990 con la raccolta di poesie I riposi (Rotundo), alla quale hanno fatto seguito Le barricate misteriose (Einaudi 2001 – premio Montale), Sempre perdendosi (Nottetempo 2006 – premio Montano, portato a teatro da Alfonso Benadduce), Marmo (Einaudi 2007 – premi Viareggio, Mondello, Frascati, Penne, Arenzano), La fine di quest'arte (Einaudi 2015).
Al riguardo restano esemplari i due volumi Uno zero più ampio (Einaudi 2013) e Centoquattro poesie di Emily Dickinson (Einaudi 2011), che costituiscono un vero e proprio cimento per ogni traduttore; ma anche in prosa il delizioso Giardino di Vita Sackville-West o l'impegnativo Sette giorni in mille anni di Robert Graves».
Tra le sue traduzioni: Il canzoniere di Louise Labé (Classici Mondadori, 2000), da Emily Dickinson Questa parola fidata (Einaudi 2019), Il giardino di Vita Sackville-West (Elliot, 2013), Esercizi di potere di Margaret Atwood (nottetempo 2019).
Tra gli autori da lei tradotti: Robert Graves, Alberto Manguel, Alice Walker, Claudia Rankine, Doris Lessing, Naomi Alderman, Alison Lurie, Siobhan Fallon, Sharon Kivland, Lodro Rinzler.
Nel 2006 Alfonso Benadduce ha portato in teatro un testo della Bre: Sempre perdendosi – Poema tragico.
Nel 2010 Silvia Bre ha vinto il premio Cardarelli per la poesia. Nel 2019 ha vinto il Premio Maggiore per la traduzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2022 ha pubblicato per Einaudi la raccolta di poesie Le campane, opera che si è aggiudicata il Premio Laudomia Bonanni e il Premio di poesia e prosa Lorenzo Montano (36^ edizione, 2022); nello stesso anno è uscito, per Adelphi, Fuoco e ghiaccio, traduzione di un'ampia raccolta di poesie di Robert Frost.
La ricerca di Silvia Bre, in poesia e in saggistica, appare di decisa impronta filosofica, a tratti speculativa in senso metapoetico, e non di rado affronta la postura dell'essere umano, e in particolare del poeta, di fronte al mistero, alla trascendenza e all'invisibile.
Opere di Poesia
I riposi, Rotundo, 1990
Le barricate misteriose, Einaudi, 2001
Sempre perdendosi, Nottetempo, 2006
Marmo, Einaudi, 2007
La fine di quest'arte, Einaudi, 2015
Le campane, Einaudi, 2022
Conoscerti, come nel sonno la statura celeste
dove giri, profeta dell’inaccessibile con la voce di cera.
Penultima prima di finire, sulla sponda di un’orazione umana
l’anima scura sfregia la lingua e sventola.
Nessun altare, solo un altro tifone benedice la mente
scossa da cori di spighe, fende l’impossibile.
(da Le campane, Einaudi, 2022)
Ah mezzanotte semplici capelli
lungo il collo imperlato dai respiri,
sopra la fronte altissima di fronte
a chissà che mattino – incoronata
che immagine che sei, così di tutti!
Se non sei mia è più mio l’averti avuta?
Fammi chiedere ancora, ancora
non di che cosa, solo di più, per slancio
per aurora, soltanto ancora e non saperne nulla
mia povertà mio calco
cieca gioia, che forze avrai sfidato
per venirmi alla mente
dove ti sfioro senza fare un gesto.
Ma ti devo fermare per cadere ai tuoi piedi
per ritornare in me
pieno d’un viso senza più pensiero.
E sono già chi dice «ti tenevo» e già vacilli
nella coda lunghissima degli occhi.
La spiegazione pulsa nel marmo, ricomincia.
Non rimane che il farsi della vista,
di un discorso che dubita, del tempo,
e questo suono stesso sta per dire
che anche io, lo scultore, sono un resto.
(da Marmo, Einaudi 2007)
Colle di Massenzio – Prospettiva frontale
C’è sempre vento in questo posto a quest’ora dell’anno.
Forse dipendi da tradizioni come questa –
i punti che congiungi raccolgono lo spazio
e tu respiri. E lo contempli,
lo paragoni al cielo che trionfa
nell’alto smisurato dei suoi archi.
Sarà la notte giusta per non dire,
sei già nella stagione trasparente
che ricomincia a trascinarsi via dal nulla
senza che cambi niente. Sono i fiori speciali
disposti a germogliare in te che guardi.
Non sai chi siete: con la luce del buio riconosci
che siete solo in due, come ogni notte al mondo,
gli stessi due di sempre a folgorarvi.
Davanti alla ribalta delle grandi rovine
stai come l’aria che ora le compone
nella materia in cui ruotano vive
alzando gli architravi verso i pini.
Serve tacere quando torna indietro sulla faccia
uno stupore dolce d’animale –
tra le distanze immense in cui la mente è immersa
c’è un commovente approssimarsi al suo vedere.
Ma ti trovi a vagare insieme ai cani
che grattano la terra
per affondare l’osso nel delirio
di vegliarlo per sempre,
la tua stessa tentazione di frenare
la scena della vita in una lenta
intima occasione.
Non puoi colpirla al cuore: pulsa nei panorami,
in questo che t’assedia
e piú ti stringe piú ti rassomiglia.
Ha lineamenti simili ai tuoi, il tuo sfumare
in altri lineamenti da conoscere, e cosí via,
sembianze che soccombono
nei modi silenziosi di comete –
la loro somma è l’unità che s’intravvede:
è questo istante di limpida invenzione.
Non c’è domani per quello che hai da dire
e non c’è tempo, se non nella vertigine
di un ritmo piú che lontano che ci annuncia
come noi, piú che terreni, lo annunciamo.
Ma rendi onore ai tuoi pensieri astratti
prima del primo passo che li stacca,
prima che li agiti l’istinto del reale.
E taci ancora quando li avrai pensati,
pensa che non li hai mai cantati cosí bene
come da un limbo acceso d’attenzione,
fissa davanti a loro, esseri sordi,
fissa, davanti a loro senza nomi
come poveri figli dell’amore.
Adesso dormi.
(da La fine dell’arte, Einaudi 2015)
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