Cesare Vivaldi e Simona Weller
La sua poesia si sviluppò inizialmente nell'ambito dell’ermetismo, poi del neorealismo; in seguito seguì le forme sperimentali dell’avanguardia e infine un maggiore abbandono lirico, in versi dialettali ricchi di una vigorosa forza rappresentativa.
Opere di Poesia
I porti, Modena, Guanda, 1943
Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia, Roma, Arte della Stampa, 1951
Ode all'Europa ed altre poesie: 1945-1952, Roma, Edizioni della Sfera, 1952
Il cuore d'una volta: 1951-1955, Caltanissetta, Sciascia, 1956
Poesie liguri: 1951-1954, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1960
Dialogo con l'ombra, Roma, Grafica, 1960
Dettagli, Milano, Rizzoli, 1964
Disegni e poesie, Roma, Edizioni Arco, 1966 (con Osvaldo Licini)
Lo Zodiaco, Modena, La traccia, 1973
A caldi occhi: 1964-1972, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1973
Una mano di bianco, Milano, Guanda, 1978
Poesie liguri vecchie e nuove, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1980
Le parole e la forma: 12 poesie per 12 artisti, Lanciano, Botolini, 1984
La brace delle parole: 1981-1983, Roma, Grafica dei greci, 1984
Poesie scelte: 1952-1992, Roma, Newton Compton, 1993
La vita sa di buono: tutte le poesie in dialetto ligure (1951-1992), Roma, Newton Compton, 1996
Il colore della speranza: poesie 1951-1998, Roma, Piazzolla, 1999
Poesie 1995-1998, Genova, San Marco, 2002
MATTINO A ONEGLIA
Al mattino a buonora mi risvegliano
le grida dei ragazzi entusiasmati
dai tuffi lungo il molo. Tutta Oneglia
sventola una marina di bucati
stesa avanti ai miei piedi, ed è ben sveglia
nel sole ogni finestra: insaponati
visi specchia; qualcuno unge una teglia
e vi dispone pesci infarinati.
Felicità d’esser vivi, e allegri
nel vento cogliere tutti gli odori
della città e del porto: la frittura,
il catrame che bolle. L’occhio ai negri
scafi dei lontanissimi vapori
si fissa come a una nuova avventura.
LUGLIO
Questo mese è una data nella storia
dell’Italia: quattordici di luglio
del millenovecentoquarantotto.
Un’immagine sola alla memoria
ritorna: il Policlinico, nel mùglio
del popolo crescente, ininterrotto.
Madre non dimentico
A nun me sun scurdàu de ti, che ti me
disgevi, o màe, che “u ventu u nasceva
da e muntagne e u caàva in t’e maìne,
cu u ventu ti sei nascìüu ti”. Fasgeva
5 freidu, un utubre frèidu: u gh’èa in finestrun
darè au letu, e u ventu u ghe batteva
e sensa fin nìvue gianche. Dimme
se au ventu ti sei morta ti! Cureva
troppu u me cö cu u ventu. In t’e maìne
10 trövu a to faccia, e au so che ti sei morta.
Trövu u to cö duse e amaru in te st’agri
àsgini d’üga, e toe man sensa fin
in t’e nìvue, e (so che ti sei morta)
in t’u me cö u diamante d’ina lagrima.
Non mi sono dimenticato di te, che mi dicevi, o madre, che “il vento nasceva dalle montagne e calava nelle marine, con il vento sei nato tu”. Faceva freddo, un ottobre freddo: c’era un finestrone dietro al letto, e il vento ci batteva, e nuvole bianche senza fine. Dimmi se al vento sei morta tu! Correva troppo il mio cuore col vento. Nelle marine trovo la tua faccia, e lo so che sei morta. Trovo il tuo cuore dolce e amaro in questi aspri acini d’uva, le tue mani senza fine nelle nuvole, e (so che sei morta) nel mio cuore il diamante d’una lacrima.
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