Alessandro Brusa e Sonia Caporossi ( a cura di)
DISTORSIONI
Poesia italiana Queer dell’ultracontemporaneità
Testi di: Luca Baldoni, Alessandro Brusa, Sonia Caporossi, Giorgio Maria Cornelio, Lella De Marchi, Angelo Nestore, Francesco Ottonello, Sacha Piersanti, Valentina Pinza, June Scialpi, Marco Simonelli, Piero Toto, Giovanna Cristina Vivinetto.
Postfazione di
Franco Buffoni.
Marco Saya edizioni
novembre 2025
pp. 246, euro 20
ISBN 9791280278623
Marco Saya edizioni
novembre 2025
pp. 246, euro 20
ISBN 9791280278623
Dalla Postfazione di Franco
Buffoni
Negli anni della mia formazione, quelli come me, a destra venivano considerati degli sporcaccioni, al centro dei peccatori, a sinistra una degenerazione borghese. Non era così, naturalmente: la classe operaia, di quelli come me, ne contava tanti quanto le altre classi sociali, solo che stavano nel closet. Come diceva il mio amico Mario Mieli, chi frequentava i vespasiani si rendeva conto di quanti proletari arrapati si potessero incontrare.
La situazione, almeno nel mondo occidentale, cominciò lentamente a cambiare con gli anni settanta, in un crescendo culminato vent’anni più tardi (il 17 maggio 1990) nella dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definì l’orientamento sessuale di quelli come me “una variante naturale dell’umana sessualità”. Dunque nessuna malattia e di conseguenza nessuna cura: e tanto meno, nessuna terapia riparativa. Non a caso ogni 17 maggio, nei paesi civili, si celebra la giornata mondiale contro l’omo-bi-trans-fobia.
E tredici poete e poeti nat* tra il 1970 e il 1996 sono qui oggi a testimoniare come il costume – anche letterario e artistico – si sia evoluto negli ultimi decenni, stabilizzando in una dimensione queer gli esiti di quella che ormai da anni vado definendo “una società post gay”. Cioè quella società in cui un* adolescente possa innamorarsi del compagno o della compagna di banco senza che nessuno si stupisca, perché la famiglia, la scuola, gli stessi compagni e compagne, sono pronti ad accogliere quella propensione, come pure il suo esatto contrario. Poesia queer, quindi – non gay, o peggio ancora omosessuale – quasi in un ideale ritorno a un passato classico.
Perché i Poetae Novi, detti anche cantores Euphorionis o neoterici, del I secolo a.C. a Roma, come Valerio Catone, Licinio Calvo, Furio Bibaculo, Elvio Cinna – e sopra a tutti Catullo – potevano permettersi di ardere d’amore per Clodia, alias Lesbia, ma anche per Giovenzio, come nel catulliano Carme 48, cantando entrambe le attrazioni con la stessa intensità e la medesima dignità letteraria. Poi, con l’irruzione di Saulo nelle lettere greche, la situazione cominciò a cambiare, fino a giungere all’editto di Costantino, e poi, con Giustiniano, all’inizio delle persecuzioni per i Giovenzio’s lovers, costretti a mimetizzare i loro amori sub specie di amicizia. L’ultimo a cantare tale specie di amori ormai proibiti – come ricorda anche Leopardi – fu Nonno di Panopoli: poi su quel tipo di legami per oltre un millennio calò ufficialmente il sipario. Tanto che i Poeti del Dolce Stil Novo di fine Duecento – Guinizelli, Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dino Frescobaldi, Guittone d’Arezzo, e sopra a tutti Dante – pur non essendo le loro pulsioni e i loro desideri diversi da quelli dei Poetae Novi latini, non poterono che mostrarsi unidirezionali nella narrazione poetica dei loro amori. Avevano ben interiorizzato, nella civiltà culturale in cui si trovarono a vivere, la differenza tra amicizie amorose e passioni dicibili, e amicizie amorose e passioni indicibili.
(...)
Negli anni della mia formazione, quelli come me, a destra venivano considerati degli sporcaccioni, al centro dei peccatori, a sinistra una degenerazione borghese. Non era così, naturalmente: la classe operaia, di quelli come me, ne contava tanti quanto le altre classi sociali, solo che stavano nel closet. Come diceva il mio amico Mario Mieli, chi frequentava i vespasiani si rendeva conto di quanti proletari arrapati si potessero incontrare.
La situazione, almeno nel mondo occidentale, cominciò lentamente a cambiare con gli anni settanta, in un crescendo culminato vent’anni più tardi (il 17 maggio 1990) nella dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definì l’orientamento sessuale di quelli come me “una variante naturale dell’umana sessualità”. Dunque nessuna malattia e di conseguenza nessuna cura: e tanto meno, nessuna terapia riparativa. Non a caso ogni 17 maggio, nei paesi civili, si celebra la giornata mondiale contro l’omo-bi-trans-fobia.
E tredici poete e poeti nat* tra il 1970 e il 1996 sono qui oggi a testimoniare come il costume – anche letterario e artistico – si sia evoluto negli ultimi decenni, stabilizzando in una dimensione queer gli esiti di quella che ormai da anni vado definendo “una società post gay”. Cioè quella società in cui un* adolescente possa innamorarsi del compagno o della compagna di banco senza che nessuno si stupisca, perché la famiglia, la scuola, gli stessi compagni e compagne, sono pronti ad accogliere quella propensione, come pure il suo esatto contrario. Poesia queer, quindi – non gay, o peggio ancora omosessuale – quasi in un ideale ritorno a un passato classico.
Perché i Poetae Novi, detti anche cantores Euphorionis o neoterici, del I secolo a.C. a Roma, come Valerio Catone, Licinio Calvo, Furio Bibaculo, Elvio Cinna – e sopra a tutti Catullo – potevano permettersi di ardere d’amore per Clodia, alias Lesbia, ma anche per Giovenzio, come nel catulliano Carme 48, cantando entrambe le attrazioni con la stessa intensità e la medesima dignità letteraria. Poi, con l’irruzione di Saulo nelle lettere greche, la situazione cominciò a cambiare, fino a giungere all’editto di Costantino, e poi, con Giustiniano, all’inizio delle persecuzioni per i Giovenzio’s lovers, costretti a mimetizzare i loro amori sub specie di amicizia. L’ultimo a cantare tale specie di amori ormai proibiti – come ricorda anche Leopardi – fu Nonno di Panopoli: poi su quel tipo di legami per oltre un millennio calò ufficialmente il sipario. Tanto che i Poeti del Dolce Stil Novo di fine Duecento – Guinizelli, Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dino Frescobaldi, Guittone d’Arezzo, e sopra a tutti Dante – pur non essendo le loro pulsioni e i loro desideri diversi da quelli dei Poetae Novi latini, non poterono che mostrarsi unidirezionali nella narrazione poetica dei loro amori. Avevano ben interiorizzato, nella civiltà culturale in cui si trovarono a vivere, la differenza tra amicizie amorose e passioni dicibili, e amicizie amorose e passioni indicibili.
(...)
Alcune poesie dalla raccolta
Luca Baldoni
Violently happy
Una volta mi hai raccontato con gli occhi attenti che
nel tuo periodo di più sfrenato sballo psichedelico
ti ritrovasti al “Trade” nelle prime ore di una domenica
mattina col tuo gonnellino blu oltremare
e gli stivali alti di cui andavi tanto fiero
a ballare strafatto
tra uomini sudati
quando dal cerchio caldo
che ti si appressava addosso
venne avanti un ragazzo
che intercettò i lembi della stoffa
dopo averti leccato in uno sguardo
e t’infilò piano ma con decisione
la punta del medio dentro al culo;
allora – mi hai detto – ti schizzò dentro
un razzo, non ci furono veli
da strappare, la musica continuò
fuori inascoltata
e tu ruotavi disperso
intorno a un punto fermo.
*
Alessandro Brusa
Caffè s’impunta
in su per le narici
mentre disteso e nudo
appoggio il capo sulla maglia che mi hai sollevato
oltre la testa
e che resta così attorno alle spalle
dietro il collo
poi sottile sudore s’abbassa
dai capezzoli al ventre e più giù
dove meno mi interessa
essere uomo
*
Sonia Caporossi
Hermaphrodito
primo giorno della creazione
sto per nascere alla carne che mi informa e al sangue
che mi pigmenta le membra ancora diafane e slabbrate.
ricerco tra gli arcani la forma nella materia,
setacciando il fagotto del matto.
vi trovo oggetti esterni al mio corpo, appendici dolorose
che preludono all’estroflessione,
come artigli urlanti dai fori vivi delle nocche.
il dolore sorge e si spande tra le molecole d’aria attraversando
le fibre sfilacciate della mia
sostanza in formazione.
questo parto sarà dolore per il feto più che per la madre.
se non raggiungo l’acme della follia impazzisco.
nello stadio in cui mi trovo,
il mio equilibrio termodinamico s si misura ancora in j/k.
entropia del corpo, fuga di gas dell’anima.
chi sono io?
non so ancora dirmi, definirmi, contraddirmi; sono un enigma che pongo a me stessƏ.
la mia anima gioca a dixit, variante mysterium.
*
Giorgio Maria Cornelio
Sì, che si sappia:
non c’è creatura che
non sia un popolo.
Il dolore è collettivo.
Carichiamo in noi
ogni cosa estinta,
ogni debito,
ogni incandescenza
nel limo opaco di
tutte le vite negate.
*
Lella De Marchi
II.
perché si è soli dappertutto si è soli in mezzo
alla gente o chiusi e soli in una stanza. anche
in mezzo alla gente che più ci assomiglia
si è soli. inseguiti dal rischio di diventare
un clan, uno strano ghetto, una setta,
una debole razza destinata all’estinzione.
è la strana storia di una strana gente di una
solitudine differente, la casa di chi tenta
l’impresa di essere mentre si diventa.
*
Angelo Néstore
Porntube
“Il Branco”, “Branco”, “San Fermín” e “stupro” sono di tendenza nella versione spagnola di Porntube. (Público, 30 aprile 2018)
Un adolescente che apre Porntube in una finestra in
incognito
non sta pensando alla morte,
preme insistentemente il mouse
per caricare il video e aspetta.
Apre le sue cosce immacolate,
si tocca con la mano sinistra.
Sullo schermo una donna geme in loop circondata da cinque
uomini,
tiene gli occhi chiusi,
ma il ragazzo non se ne accorge.
Con lui cresce il numero dei visitatori:
il bambino aggiunge un altro bambino,
a migliaia di bambini, la sua solitudine,
accetta i cookies con la fede cieca di chi accetta l’Eucaristia,
si sente parte di una comunità,
di un tutto, un unico occhio Polifemo,
un pugnale che penetra la stessa donna.
Il bambino che apre Porntube in una finestra in incognito
e che vede una donna circondata da cinque uomini,
e che non pensa alla morte,
e che non vede in quella scena una sepoltura,
un giorno mi venderà il pane,
mi chiederà i documenti,
mi porterà a casa con l’autobus,
firmerà condanne, schioccherà le dita,
vorrà sputarmi addosso quando mi sentirà parlare di me al
femminile,
mi guarderà sempre con quel pugnale brillante
nel codice binario dei suoi occhi.
*
Francesco Ottonello
Sogni da finire
Lascialo ai campi e ai sogni da finire,
non portarlo con te con la forza
di una parola che rapisce o innalza. Per farne cosa?
Un servo alla mensa dei padroni. Dovrà darlo via
dite voi, tutto il suo orgoglio. Non solo il corpo
cedere tutto sé stesso, fin dentro le midolla
svendere la sua isola per un fischio di treni.
Ecco che arriva camuffato con ali piumate
lo porta via in un binario verticale.
Vedo una macchia nel cielo. Sono solo e mi basta.

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