lunedì 23 giugno 2025

#biblioteca / Keiko Ando Mei, Massimo Mei - LA VITA DEL POETA BASHŌ E I SUOI HAIKU - Lindau

 
Keiko Ando Mei, Massimo Mei
LA VITA DEL POETA BASHŌ E I SUOI HAIKU
Lindau
collana I Bambù
maggio 2025
pp. 276, euro 24
ISBN 9791255842248

 
Accostando il racconto della vita di Matsuo Bashō – uno dei più grandi letterati giapponesi di tutti i tempi – alla presentazione di molti suoi haiku, questo libro è forse la biografia più ricca e suggestiva disponibile in lingua italiana del poeta vissuto nel XVII secolo. Ma è molto più di questo: è anche e soprattutto una guida al suo universo artistico e spirituale. Esplorando i luoghi della sua esistenza, contemplando i paesaggi che ne hanno ispirato l’opera e aprendoci alle profonde lezioni di vita racchiuse nei suoi versi, ci mettiamo infatti in viaggio con lui lungo un cammino di crescita e conoscenza che ci conduce a uno stato di unità con la natura e con tutte le cose.
Arricchito dalle illustrazioni dello stesso Bashō e di altri artisti allievi del Maestro e continuatori della sua opera, La vita del poeta Bashō e i suoi haiku è un libro che ci ispira e ci trasforma, permettendoci di ritrovare una connessione autentica con noi stessi e con il mondo.

Introduzione
Il mio primo incontro con l’haiku avvenne quando ero ancora piuttosto giovane. Una sera di settembre mia nonna, che indossava un kimono e teneva i capelli perfettamente curati e acconciati nello stile classico, sedeva nella stanza giapponese guardando il giardino. Era una serata silenziosa con il chiaro di luna che illuminava la superficie dello stagno circondato da grandi e piccole rocce dietro alle quali si snodavano arbusti di azalee curate meticolosamente e tagliate quasi a formare una piccola catena montuosa. Improvvisamente mia nonna mi chiamò chiedendomi di portarle la scatola di lacca nera all’interno della quale si trovavano gli strumenti per la calligrafia: pennelli, inchiostro di china e la carta Hanshi. La nonna iniziò a piegare l’Hanshi in quattro lunghe strisce verticali molto sottili. Lo appoggiò dolcemente sulla mano sinistra, poi prese il pennello con la mano destra e lo intinse lentamente nell’inchiostro nero. Si fermò con grande concentrazione e in un attimo compose i versi sulla carta. L’azione era durata pochi minuti, ma il comportamento di mia nonna mi aveva affascinato e soprattutto mi avevano colpito moltissimo la sua prontezza, la spontaneità e l’eleganza. Non era riuscita a rimanere indifferente di fronte alla grande bellezza creata dalla Natura. In un istante che sarebbe svanito da lì a poco immortalò quell’attimo nei versi di un haiku. Come per mia nonna anche per tutti i giapponesi, fino a pochi decenni fa, comporre una poesia, sia nello stile waka che nello stile haiku, faceva parte della vita quotidiana. Ancora oggi i giapponesi preferiscono esprimere i loro sentimenti in maniera delicata, non gradiscono l’uso di espressioni troppo dirette ed esplicite. Troviamo questa tendenza soprattutto nell’ambito della poesia. Allora come esprimono in versi l’amore, l’odio, la gioia, la tristezza o qualsiasi altro stato d’animo? I giapponesi molto spesso osservano profondamente la vita della Natura scoprendo in essa similitudini con la vita degli esseri umani. Manifestano quindi i propri sentimenti in versi attraverso i fenomeni naturali che si rinnovano in ogni momento. Questo atteggiamento nasce dalla visione che il popolo giapponese ha della Natura. Nella tradizione occidentale la Natura viene concepita come una realtà a sé stante, oggettiva e materiale, completamente separata dal genere umano, con molteplici risorse da conquistare e usare. In Giappone invece, fin dall’antichità, il rapporto dell’uomo con il mistero del mondo che lo circonda è profondamente ancorato al sentimento religioso. Secondo il culto delle origini, lo Shinto e i miti della Creazione a esso connessi, l’universo è popolato di divinità e lo spirito divino è infuso in tutte le cose esistenti, procreate dalla prima coppia genitrice di dèi, la dea Izanami e il dio Izanagi. Le cerimonie e i riti di purificazione shintoisti rappresentano un vibrante richiamo allo stato originario di inscindibile unità tra materiale e spirituale, tra progenie umana, anch’essa di discendenza divina, e Natura. Nella visione shintoista la vita degli uomini si svolge nell’intimo legame con il creato, nei confronti del quale occorre mantenere un atteggiamento di amore e rispetto in quanto manifestazione stessa del divino. La Natura quindi non può essere considerata un semplice oggetto di possesso e sfruttamento, ma è essenziale per l’uomo stabilire armonici rapporti con la sua vita, nei diversi aspetti, ritmi e leggi che la regolano. In seguito, gli insegnamenti del buddhismo, introdotto in Giappone da Corea e Cina nel VI secolo d.C., contribuirono ad approfondire e arricchire ulteriormente l’esperienza religiosa shintoista. Un altro punto molto importante e interessante da comprendere è come il popolo giapponese elabori i ragionamenti proprio in modalità completamente contrarie a quelle degli occidentali. In effetti, si inizia da alcune particolarità oppure da fenomeni reali che possono essere colti attraverso i cinque sensi e si giunge solo alla fine al concetto generale. Per comprendere meglio vediamo un famoso haiku di Bashō.
Quando guardo attentamente
scopro il nazuna in fiore
dentro la siepe.

Il significato è molto semplice. Un giorno Bashō esce nel giardino di casa; si sente ancora il vento freddo invernale e non c’è nessuna pianta in fiore. Quando guarda però più attentamente verso la siepe scopre alcuni piccolissimi fiori bianchi di nazuna. Bashō è stato colpito da un senso di grande meraviglia per la Natura e ha sentito l’arrivo della primavera attraverso il nazuna in fiore. Ma perché l’haiku, lo stile poetico più breve del mondo composto da sole 17 sillabe in tre versi, è nato in Giappone? Per rispondere a questa domanda vorrei raccontare la storia dei fiori di convolvolo. Un giorno lo shogun Toyotomi Hideyoshi sentì dire che nel giardino della casa di Sen no Rikyū, il grande Maestro della Cerimonia del tè, erano fioriti degli splendidi convolvoli. Chiese quindi al Maestro di preparare una Cerimonia del tè, onde poter ammirare la bellezza di quei fiori. Il mattino concordato per l’incontro, Hideyoshi giunse di buon’ora e immediatamente notò che nel giardino non vi era alcuna fioritura. «Che strano!» esclamò, ma subito Sen no Rikyū lo invitò a entrare nella stanza. Al suo interno, il grande samurai scoprì sul tokonoma uno splendido Ikebana realizzato con un solo fiore di convolvolo. Era accaduto che la sera precedente Sen no Rikyū aveva fatto recidere nel giardino tutti gli altri convolvoli fioriti. Hideyoshi rimase sorpreso e, in parte, sicuramente contrariato, ma non poté non ammirare la composizione in stile Chabana eseguita dal Maestro. Comprese anche che, nella competizione con lui, aveva perso ancora una volta. Per la sensibilità giapponese, l’azione di Sen no Rikyū di creare un Ikebana con un solo convolvolo significa aver voluto rappresentare simbolicamente nell’uno tutti i convolvoli. Inoltre, concentrando l’attenzione del suo illustre ospite su quell’unico fiore, aveva voluto fargli sentire con la massima intensità la freschezza del primo mattino d’estate, mantenendo vivo e vibrante il rapporto con la Natura. «L’uno rappresenta la molteplicità, la parte rispecchia la totalità». Sono queste le linee guida dell’arte giapponese profondamente permeate dallo spirito dello Zen. Naturalmente, questa Via (Dō) di coltivazione dell’esperienza estetica che esclude tutto ciò che è superfluo ed esplicito lascia un vuoto, o per meglio dire «uno spazio vivo» e può essere intrapresa soltanto con lo sviluppo della dimensione interiore, facendo affiorare la parte più profonda di sé. Anche il cammino di Bashō sulla Via della poesia fu così. Per esprimere i suoi sentimenti, il senso di meraviglia che gli suscitavano i fenomeni quotidiani della Natura e della vita umana soltanto in tre versi, il poeta non poteva essere intrappolato in complicate strutture poetiche. Ma poiché l’haiku esprime, con poche limitate parole, i sentimenti più profondi del poeta, i versi vengono «spogliati» del superfluo per poter così svelare ai lettori solo «uno spazio vivo» di vere emozioni. Consideriamo le due forme poetiche classiche composte rispettivamente da 35 e 17 sillabe, che nel panorama letterario mondiale costituiscono senza dubbio le più brevi opere in versi: la poesia waka che rappresenta lo stile poetico tradizionale e l’haiku, di soli tre versi, che si sviluppò agli inizi del XVII secolo soprattutto a opera del famoso poeta Matsuo Bashō. In questi stili il poeta deve riuscire a esprimere il suo sentimento tenendo presente il vincolo stabilito dal numero delle sillabe e concentrarsi, quindi, sulla pura essenzialità. Leggendo la poesia accade, poi, qualcosa di simile a quando si gettano dei sassolini sulla superficie dell’acqua che danno origine a cerchi concentrici che si allargano sempre più. La parte del messaggio poetico non espressa nei versi crea uno spazio libero, aperto, chiamato yojō (da yo, «oltre», e jō, «sentimento»). Questo «sentimento che va oltre» suscita come una vibrazione, che induce il lettore attento a partecipare all’opera creativa, colmando lo spazio vuoto con la propria sensibilità ed esperienza.
Oh silenzio!
Stridio di cicale
penetra le rocce

Bashō compose questa sua famosa poesia durante la visita al Tempio Ryushakuji, in un viaggio nel nord del Giappone; riusciamo a immaginare il giardino di questo tempio, situato sulla sommità di un monte tra alberi secolari e rocce, immerso nel silenzio di un mezzogiorno d’estate. L’atmosfera silente che viene evocata dal primo verso è di profonda calma; nel secondo diviene invece vibrazione e «spazio vivo» con lo stridere delle cicale; infine, come penetrando nelle rocce, la tensione risvegliata da quel suono viene riassorbita nel silenzio e nella quiete. La poesia, nel suo complesso, ispira nel lettore uno stato di silenzio, vibrazione e calma: lo «spazio vivo» che sotto forme diverse possiamo ritrovare in tutti gli haiku di Bashō. Per concludere voglio esprimere la mia riconoscenza al Museo Idemitsu di Tokyo, al Museo Kakimori Bunko di Itami, all’Università Tenri di Nara, al Tempio Gichuji a Ōtsu, alla Tokyo University of the Arts e alla Nomura Art di Tokyo. Porgo anche un ringraziamento alle mie care amiche Okumura Shoko per le immagini pittoriche, Federica Sonzogno per la collaborazione nella realizzazione editoriale e Antonietta Ferrari e Grazia Bonomo per la revisione della traduzione in italiano.
Infine, la mia gratitudine va di cuore a mio marito, Massimo Maria Mei. È insieme a lui che ho iniziato a insegnare la poesia di Bashō al Centro di Cultura Giapponese di Milano dal 1975 e abbiamo cominciato a scrivere questo libro nel 2006, ma purtroppo ci ha lasciati prima di poterne vedere la pubblicazione. La realizzazione stessa di questo libro è stata possibile solo grazie alla sua costante ricerca e alla sua grande volontà di far conoscere in Occidente il cammino del grande poeta giapponese Bashō e i suoi meravigliosi haiku.

Keiko Ando Mei, nata a Chiba, in Giappone, nel 1975 si è trasferita a Milano, dove ha fondato, assieme a suo marito Massimo Mei, il Centro di Cultura Giapponese, che tutt’ora dirige. Studia Bashō da oltre cinquant’anni. Ha tenuto conferenze e organizzato mostre e convegni presso vari musei e istituzioni, tra i quali la Triennale e Palazzo Reale a Milano e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
 
Massimo Mei, nato a Roma, studioso della cultura giapponese e specialmente della religione autoctona del Paese, lo shintoismo, è anche un profondo conoscitore del buddhismo zen, della letteratura tradizionale e di Bashō in particolare. Le sue traduzioni degli haiku di Bashō riflettono la sua profonda comprensione dello spirito e della lingua giapponesi

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