Francesco Brancati
IDEALE REALE
Sulla poesia di Amelia Rosselli
Carocci editore
collana Lingue e letterature
giugno 2025
pp. 136, euro 16
ISBN 9788829025619
Amelia Rosselli è unanimemente ritenuta una delle più importanti voci poetiche del Novecento. Il volume affronta alcune questioni centrali per l’interpretazione della sua opera a partire dalla complessa dialettica tra innovazione musicale e rifondazione metrica, avviata in un periodo cruciale per la storia della poesia contemporanea e riscontrabile in raccolte come Variazioni Belliche, Serie Ospedaliera e Documento. Soffermandosi sulle problematiche esegetiche derivate da Spazi Metrici, il celebre allegato a Variazioni Belliche composto su indicazione di Pier Paolo Pasolini, il libro individua nel rapporto tra realtà e ideale la cifra peculiare della scrittura di Rosselli, costantemente protesa verso una fusione degli opposti realizzata nello spazio sicuro dell’ordine metrico. Le tensioni profonde e gli influssi culturali che sostanziano la sua poetica sono del resto testimoniati da esperienze diverse come quelle che daranno vita a Sleep, nonché dalla vasta produzione saggistica: ulteriori variazioni alle quali sono dedicate approfondite indagini critiche, volte a restituire la precisa fisionomia di un percorso intellettuale unico e irripetibile.
dall’Introduzione. I versi e la colpa
Amelia Rosselli esordisce in una delle fasi di più intenso rinnovamento della poesia italiana. Nella prima metà degli anni Sessanta alcuni fenomeni che riguardano la composizione del testo poetico sono attraversati da un processo di cambiamento e alterazione che se da un lato contribuisce in maniera netta allo svecchiamento del campo lirico postbellico, dall’altro rende il generale panorama letterario complesso e di non immediata decifrazione sotto il versante delle singole poetiche.
La causa principale del cambiamento e della rottura viene tradizionalmente individuata nell’azione portata avanti dai Novissimi e dal Gruppo 63. La pubblicazione dell’antologia I Novissimi a cura di Alfredo Giuliani segna l’avvio di un vero e proprio movimento tellurico che oltre a rinnovare stilemi e consuetudini ereditati dalle stagioni dell’ermetismo e dal neorealismo, imporrà una serie di prescrizioni riguardo il rapporto formale con la tradizione e le modalità di costruzione del soggetto. Il presupposto strutturale che riconosce nel libro di rime l’ideale contenitore della storia di un io sembra essere un’opzione non praticabile nella sua interezza, quantomeno bisognosa di un ripensamento in grado di problematizzare le forme dell’«autobiografismo trascendentale» che secondo la nota definizione di Gianfranco Contini costituivano la principale modalità di autorappresentazione del soggetto nei Rerum vulgarium fragmenta. Naturalmente, la questione non riguarda soltanto Petrarca, ma coinvolge tutta la tradizione, problematizzata secondo parametri che non sono quelli consueti al dialogo intertestuale: lo stile e la disposizione allegorica del vissuto nei versi non bastano, da soli, a conferire il carattere di esemplarità a una vicenda umana quando questa non «riscatta la propria contingenza». Tale processo ha determinato un andamento sussultorio nella recente storia della poesia, caratterizzata da tentativi di liberazione e di fondazione di un nuovo codice lirico e al contempo da operazioni di rifunzionalizzazione, tanto da un punto di vista delle modalità di costruzione del soggetto, quanto da quello più propriamente stilistico e metrico-formale.
Se ancora verso la fine degli anni Quaranta a un poeta come Umberto Saba sembrava lecito organizzare a posteriori il racconto del Canzoniere sulla base di un percorso lineare e progressivo come quello delineato in Storia e cronistoria del Canzoniere, durante gli anni Sessanta – in coincidenza con il traumatico crollo di «una civiltà contadina e arcaica e la crescita industriale del boom neocapitalistico» (Testa, 2005, p. V) – ritenere che la poesia possa figurare uno spazio autonomo di definizione del sé appare a molti poeti un’opzione ingenua, bisognosa di una serie di accorgimenti teorici che giustifichino e argomentino la stessa scelta di scrivere versi. La discussione intorno ai paradigmi economico-politici coinvolge anche gli istituti della soggettività e della biografia, instillando in chi decide di utilizzare la lirica come strumento di rappresentazione della realtà «un potente senso di colpa che ne preforma la possibilità stessa, la postura» (Giovannuzzi, 2016, p. 27). Le posizioni espresse dalle scritture di avanguardia e dal neorealismo agli inizi degli anni Sessanta sulle modalità di impiego del linguaggio impongono una rivisitazione delle forme della tradizione secondo coordinate ideologiche extraletterarie. Il clima culturale che ne deriva sollecita una riflessione sul significato della poesia in quanto esperienza testuale assoluta, il cui valore per alcuni precede qualsiasi rivendicazione sociale.
Su tale versante è possibile collocare temi e stili diversi, spesso uniti da un comune idolo polemico, sintetizzabile appunto con le posizioni della neoavanguardia e del neorealismo, ritenuti entrambi responsabili di prescrivere una sorta di ipoteca sul senso di continuità (ideale, prima ancora che stilistica) delle scritture contemporanee con il passato. Si tratta di un panorama assai vasto e che meriterebbe un’indagine apposita; qui basterà evocare un paio di punti di vista, utili a descrivere il contesto in cui collocare l’avvio della carriera letteraria di Rosselli. Nello stesso 1964 di Variazioni Belliche Franco Fortini pubblica il Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo: la «poesia-valore» assume una posizione di primato rispetto alle altre forme di comunicazione poetica. La presa di distanza rispetto all’avanguardia emerge netta anche dalle Nuove questioni linguistiche di Pier Paolo Pasolini.
Amelia Rosselli esordisce in una delle fasi di più intenso rinnovamento della poesia italiana. Nella prima metà degli anni Sessanta alcuni fenomeni che riguardano la composizione del testo poetico sono attraversati da un processo di cambiamento e alterazione che se da un lato contribuisce in maniera netta allo svecchiamento del campo lirico postbellico, dall’altro rende il generale panorama letterario complesso e di non immediata decifrazione sotto il versante delle singole poetiche.
La causa principale del cambiamento e della rottura viene tradizionalmente individuata nell’azione portata avanti dai Novissimi e dal Gruppo 63. La pubblicazione dell’antologia I Novissimi a cura di Alfredo Giuliani segna l’avvio di un vero e proprio movimento tellurico che oltre a rinnovare stilemi e consuetudini ereditati dalle stagioni dell’ermetismo e dal neorealismo, imporrà una serie di prescrizioni riguardo il rapporto formale con la tradizione e le modalità di costruzione del soggetto. Il presupposto strutturale che riconosce nel libro di rime l’ideale contenitore della storia di un io sembra essere un’opzione non praticabile nella sua interezza, quantomeno bisognosa di un ripensamento in grado di problematizzare le forme dell’«autobiografismo trascendentale» che secondo la nota definizione di Gianfranco Contini costituivano la principale modalità di autorappresentazione del soggetto nei Rerum vulgarium fragmenta. Naturalmente, la questione non riguarda soltanto Petrarca, ma coinvolge tutta la tradizione, problematizzata secondo parametri che non sono quelli consueti al dialogo intertestuale: lo stile e la disposizione allegorica del vissuto nei versi non bastano, da soli, a conferire il carattere di esemplarità a una vicenda umana quando questa non «riscatta la propria contingenza». Tale processo ha determinato un andamento sussultorio nella recente storia della poesia, caratterizzata da tentativi di liberazione e di fondazione di un nuovo codice lirico e al contempo da operazioni di rifunzionalizzazione, tanto da un punto di vista delle modalità di costruzione del soggetto, quanto da quello più propriamente stilistico e metrico-formale.
Se ancora verso la fine degli anni Quaranta a un poeta come Umberto Saba sembrava lecito organizzare a posteriori il racconto del Canzoniere sulla base di un percorso lineare e progressivo come quello delineato in Storia e cronistoria del Canzoniere, durante gli anni Sessanta – in coincidenza con il traumatico crollo di «una civiltà contadina e arcaica e la crescita industriale del boom neocapitalistico» (Testa, 2005, p. V) – ritenere che la poesia possa figurare uno spazio autonomo di definizione del sé appare a molti poeti un’opzione ingenua, bisognosa di una serie di accorgimenti teorici che giustifichino e argomentino la stessa scelta di scrivere versi. La discussione intorno ai paradigmi economico-politici coinvolge anche gli istituti della soggettività e della biografia, instillando in chi decide di utilizzare la lirica come strumento di rappresentazione della realtà «un potente senso di colpa che ne preforma la possibilità stessa, la postura» (Giovannuzzi, 2016, p. 27). Le posizioni espresse dalle scritture di avanguardia e dal neorealismo agli inizi degli anni Sessanta sulle modalità di impiego del linguaggio impongono una rivisitazione delle forme della tradizione secondo coordinate ideologiche extraletterarie. Il clima culturale che ne deriva sollecita una riflessione sul significato della poesia in quanto esperienza testuale assoluta, il cui valore per alcuni precede qualsiasi rivendicazione sociale.
Su tale versante è possibile collocare temi e stili diversi, spesso uniti da un comune idolo polemico, sintetizzabile appunto con le posizioni della neoavanguardia e del neorealismo, ritenuti entrambi responsabili di prescrivere una sorta di ipoteca sul senso di continuità (ideale, prima ancora che stilistica) delle scritture contemporanee con il passato. Si tratta di un panorama assai vasto e che meriterebbe un’indagine apposita; qui basterà evocare un paio di punti di vista, utili a descrivere il contesto in cui collocare l’avvio della carriera letteraria di Rosselli. Nello stesso 1964 di Variazioni Belliche Franco Fortini pubblica il Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo: la «poesia-valore» assume una posizione di primato rispetto alle altre forme di comunicazione poetica. La presa di distanza rispetto all’avanguardia emerge netta anche dalle Nuove questioni linguistiche di Pier Paolo Pasolini.
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