domenica 6 luglio 2025

GATTO Alfonso (1909 - 1976)

 


Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976) è stato un poeta, scrittore, pittore, critico d'arte e critico letterario italiano. Nacque a Salerno il 17 luglio del 1909, da Giuseppe Gatto ed Erminia Albirosa. La sua infanzia e la sua adolescenza furono piuttosto travagliate. Fratello del pittore Alessandro Gatto, compì i primi studi al liceo classico Torquato Tasso della sua città natale, mostrandosi portato per le materie letterarie, in particolare l'italiano, e poco incline alla matematica. Al liceo scoprì la propria passione per la poesia e la letteratura.
Nel 1926 si iscrisse all'Università degli Studi di Napoli Federico II, che dovette tuttavia abbandonare qualche anno dopo a causa di difficoltà economiche.
Sposò la figlia del suo professore di matematica, Agnese Jole Turco, con la quale, all'età di 21 anni, fuggì a Milano. Ebbero due figlie, Marina e Paola.
Nel capoluogo lombardo, dove risiedette dal maggio del 1934, tra i suoi amici più assidui vi furono Cesare Zavattini, Arturo Tofanelli, Leonardo Sinisgalli, Orazio Napoli e Domenico Cantatore, coi quali frequentava i caffè cittadini.
La sua vita fu piuttosto irrequieta e movimentata, anche dal punto di vista lavorativo: dapprima commesso di libreria, poi istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante.
Durante quegli anni Gatto collaborò ai più innovatori periodici e riviste di cultura letteraria (Italia letteraria, Rivista Letteratura, Circoli, Primato, Ruota). Nel 1938, insieme a Vasco Pratolini, fondò la rivista Campo di Marte per commissione dell'editore Vallecchi, un periodico che durò un solo anno. Fu comunque questa una esperienza significativa per il poeta, che ebbe modo di cimentarsi nella letteratura militante di maggior impegno. Campo di Marte (il cui primo numero uscì il 1º agosto 1938) era nato come quindicinale di azione letteraria e artistica, con l'intento di educare il pubblico a comprendere la produzione artistica in tutti i suoi generi. La rivista si ricollegava al cosiddetto ermetismo fiorentino.
Nel 1941 Gatto ricevette la nomina a docente ordinario di Letteratura italiana, per "chiara fama", presso il Liceo Artistico di Bologna e iniziò pure una collaborazione con la rivista Primato di Giuseppe Bottai, sulla quale pubblicò con continuità poesie e recensioni letterarie.
Nel 1944, iscrittosi al PCI, iniziò a collaborare a Rinascita e, dopo la liberazione di Milano, nell'aprile 1945, a L'Unità.
Ha scritto e pubblicato nel 1962 una poesia sulla rivista Pioniere dal titolo: Girotondo per la città n° 5 e ha scritto e pubblicato nel 1964 un racconto sulla rivista Pioniere dell'Unità dal titolo: La partita di calcio n° 33.
Fu poi inviato speciale de L'Unità assumendo una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista. Nel 1951 si dimise dal partito e diventò un comunista "dissidente". Il poeta, nel 1946, incontrerà la donna più importante della sua vita, la pittrice triestina Graziana Pentich per la quale abbandonò la moglie e le figlie e da cui ebbe due figli, Teodoro e Leone. La vita del poeta sarà segnata, nel 1963, dal dolore per la scomparsa di Teodoro, mentre Leone sopravvisse solo tre mesi al poeta. Nel 1964 fece parte della giuria per il premio letterario Soverato.
L'8 marzo del 1976 Gatto si trovava a Grosseto e si mise in viaggio lungo l'Aurelia diretto a Roma, a bordo di una Mini Minor alla cui guida si trovava Paola Maria Minucci. L'auto finì fuori strada nei pressi della Torba di Capalbio e il poeta fu trasportato d'urgenza a Orbetello dove, per via delle condizioni ormai critiche, si decise di caricarlo sull'ambulanza in direzione dell'ospedale di Grosseto. Alfonso Gatto spirò alle ore 16:10 mentre si trovava ancora a Orbetello.
È sepolto nel cimitero monumentale di Salerno, sua città natale: sulla sua tomba, che ha un macigno per lastrone, è inciso il commiato funebre dell'amico Eugenio Montale:
«Ad Alfonso Gatto
per cui vita e poesie
furono un'unica testimonianza
d'amore»
Il suo archivio è conservato presso il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia.

Opere di Poesia

Isola, Napoli 1932
Morto ai paesi, Modena 1937
Poesie, Milano 1939 (nuova edizione, Firenze 1943)
L'allodola, Milano 1943
La spiaggia dei poveri, Milano 1944
Amore della vita, Milano 1944
La spiaggia dei poveri, Milano 1944 (nuova edizione Salerno 1996)
Il sigaro di fuoco. Poesie per bambini, Milano 1945
Il capo sulla neve, Milano 1947
Nuove poesie 1941-49, Milano 1950
La forza degli occhi, Milano 1954
La madre e la morte, Galatina 1959
Poesie 1929-41, Milano 1961
Osteria flegrea, Milano 1962
Il vaporetto. Poesie, fiabe, rime, ballate per i bambini di ogni età, Milano 1963 (nuove edizioni Salerno 1994 e Milano 2001)
La storia delle vittime, Milano 1966, Premio Viareggio
Rime di viaggio per la terra dipinta, Milano 1969
Poesie 1929-69, Milano 1972
Poesie d'amore (1941-49; 1960-72), Collezione Specchio, Milano, Mondadori, 1973, 
Lapide 1975 ed altre cose, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1976.
Desinenze, Milano 1977
Poesie, a cura di F. Napoli, Milano, Jaca Book, 1998 
Tutte le poesie, a cura di Silvio Ramat, Collana Oscar grandi classici n.103, Milano, Mondadori, 2005 
Tutte le poesie (nuova edizione ampliata), a cura di Silvio Ramat, Collana Oscar moderni n.103, Milano, Mondadori, 2017 


A mio padre

Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo,
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
«Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno». Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.

Cenere

Quello che non sappiamo come un sogno,
come la pioggia, scende in cuore a sera.
Il freddo stringe sulle cose il lume,
lo squallore perenne dei giornali
abbandonati sulle strade, nomi,
fatti perduti appena nati, cenere.
Quello che non sappiamo come un treno
solo nel mondo giunge coi fantasmi
alle case di nebbia: da lontano
un bubbolìo di sonagliere, il carro
delle notti serene.
Quello che non sappiamo come il freddo,
come la neve, scende sulle tombe.
Udimmo il vento porgere alle cose
il pensiero che l’ombra le fa sole.
Quello che non sappiamo è forse il volto,
il nostro volto che la morte un giorno
suggellerà col suo silenzio: nomi,
fatti perduti appena nati, cenere.


Sciarada

È difficile dire, ma si deve dire,
il cuore è detto che non si può dire.
Sempre uno specchio quanto più profondo
colora tutto il giorno che passa
e di sé nulla, un abisso, un macigno.
O romperlo solo
romperlo rotto e di nuovo allagato
romperlo sempre.
Ma forse era un volo
il cuore detto che non si può dire,
la mano aperta che lascia anche il filo
e di sé nulla, più nulla trattiene.
È difficile dire, ma si deve dire,
il cuore è detto che non si può dire,
il cuore duro per rompere il cuore
dentro ha raccolto la sua stessa mano.
Quasi uno scherzo
e per dirlo si gioca.
La morte è uno soffio che pesa l’intero.
Ma la dolce collina del nostro cuore lontano
la luna del nostro amore lontano,
l’inverno del nostro cuore vicino.



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