lunedì 14 luglio 2025

#stranieri / VUONG Ocean (1988 - viv.)

 

Vương Quốc Vinh, conosciuto con il nome d'arte Ocean Vương (Ho Chi Minh, 14 ottobre 1988), è un poeta e scrittore vietnamita naturalizzato statunitense.
Nato a Ho Chi Minh nel 1988, quando aveva 18 mesi la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti, ad Hartford, nel Connecticut, ed è stato cresciuto dalla madre, dalla nonna e da una zia.
Dopo aver conseguito un B.A. al Brooklyn College, nel 2016 ha ottenuto un Master of Fine Arts all'Università di New York.
Nel 2010 ha esordito con la raccolta di liriche chapbook Burnings, alla quale hanno fatto seguito No nel 2013 e Cielo notturno con fori d'uscita tre anni dopo, grazie alla quale ha ottenuto il Forward Poetry Prize per la migliore raccolta di debutto nel 2017.
Il suo primo romanzo, Brevemente risplendiamo sulla terra, connubio tra romanzo di formazione, memoir e autofiction, è uscito nel 2019 negli Stati Uniti.
Vive a Northampton e insegna alla University of Massachusetts Amherst.

Opere di Poesia
Burnings (2010)
No (2013)
Cielo notturno con fori d'uscita (Night Sky with Exit Wounds, 2016), traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, Milano, La Nave di Teseo, 2019
Il tempo è una madre (Time is a mother, 2022), traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, Milano, Guanda, 2023.


Un giorno amerò Ocean Vuong 

Ocean, non avere paura.
La fine della strada è tanto distante
che è già alle nostre spalle.
Niente paura. Tuo padre è tuo padre soltanto
finché uno di voi non se ne dimentica. Come le vertebre
non si ricorderanno le proprie ali
a dispetto di tutte le volte che le tue ginocchia
baceranno il lastrico. Ocean,
mi ascolti? La parte più bella
del tuo corpo è ovunque
si proietta l’ombra di tua madre.
Ecco la casa con l’infanzia
ridotta a un unico cavetto rosso, innesco di mina.
Niente paura. Basta che lo chiami orizzonte
& non lo raggiungerai mai.
Ecco l’oggi. Salta. Ti garantisco non è
una scialuppa di salvataggio. Ecco l’uomo
dalle braccia ampie abbastanza da accogliere
il tuo andartene. & ecco l’attimo
subito dopo spente le luci, in cui ancora scorgi
la flebile fiaccola tra le sue gambe.
E come la usi, ripetutamente,
per ritrovare le tue mani.
Hai chiesto un’altra chance
& ti viene concessa una bocca da cui svuotarti.
Non avere paura, gli spari
sono solo il rumore di gente
che cerca di vivere un po’ più a lungo
& non ce la fa. Ocean. Ocean –
alzati. La parte più bella del tuo corpo
è il luogo verso cui si dirige. & ricorda,
la solitudine è comunque tempo trascorso
insieme al mondo. Ecco
la stanza in cui ci sono tutti.
Gli amici morti che ti
attraversano come il vento
che soffia tra i sonagli a vento. Ecco una scrivania
con la gamba zoppa & un mattone
per farla durare. Sì, ecco una stanza
così calda & vicina al sangue
che giuro, ti sveglierai –
& crederai che questi muri
siano pelle.


Un po’ più vicini al baratro 

Giovani abbastanza da credere che niente
li cambierà, scendono, mano nella mano,
nel cratere della bomba. La notte piena
di denti neri. Il Rolex falso di lui, settimane
dopo essere andato in frantumi sulla guancia di lei, adesso
s’affievolisce come una luna in miniatura dietro la sua chioma.
In questa versione il serpente è senza testa – reso immobile
come una corda sciolta dalle caviglie degli amanti.
Le solleva la gonna di cotone bianco, rivelando
un’altra ora. La mano di lui. Le mani. Le sillabe
dentro di loro. O padre, O premonizione, stringiti
a lei – mentre il prato viene lacerato
dagli stridi dei grilli. Mostrami come la rovina costruisce una casa
fatta di femori e anche. O madre,
O mano minuta, insegnami
ad abbracciare un uomo come la sete
abbraccia l’acqua. Fa’ che ogni fiume invidi
le nostre bocche. Fa’ che ogni bacio percuota il corpo
come una stagione. Dove le mele tuonano
sulla terra con zoccoli rossi & io sono tuo figlio.

A mio padre / A mio figlio futuro

Le stelle non sono ereditarie.
Emily Dickinson

C’era una porta & poi una porta
                  circondata da una foresta.

                        Guarda, i miei occhi non sono
             i tuoi occhi.

                     Ti muovi in me come pioggia
                                        udita
                           da un altro paese.
Sì, tu hai un paese.
                            Un giorno lo troveranno
                mentre cercano navi naufragate…

Una volta mi sono innamorato
               durante un incidente d’auto al rallentatore.

Avevamo un’aria così pacifica, la sigaretta alla deriva dalle sue labbra
                   mentre le teste frustavano all’indietro
               nel sogno & tutto
                             veniva perdonato.

           Perché quello che hai udito, o che udrai, è vero: ho scritto
un’ora migliore sulla pagina

                  & ho guardato il fuoco riprendersela.

C’era sempre qualcosa che bruciava.
                  Capisci? Chiudevo la bocca
ma sentivo ancora il sapore di cenere
                         perché ero ad occhi aperti.

Dagli uomini ho imparato a lodare lo spessore dei muri.
                               Dalle donne
                       ho imparato a lodare.

               Se ti venisse dato il mio corpo, fallo sdraiare.
Se ti viene data una cosa qualsiasi
                    assicurati di non lasciare
                                tracce nella neve. Sappi

             che non ho mai scelto
in che modo mutano le stagioni. Che è sempre stato ottobre
                               nella mia gola

                & in te: ogni foglia
                              si rifiuta di arrugginire.

            Svelto. Lo vedi il buio rosso che cambia sfumatura?

Significa che ti sto toccando. Significa
                        che non sei solo – perfino
               quando non sei.
                        Se arrivi prima di me, se pensi
                                       a niente
& la mia faccia appare, increspata
              come una bandiera lacera – torna indietro.
Torna indietro & vai a cercare il libro che ho lasciato
                      per noi, colmo
                           di tutti i colori del cielo
                dimenticato dai becchini.
                                        Usalo.

Usalo per provare che le stelle
                   sono sempre state quello che sapevamo

                fossero: i fori d’uscita
                              di ogni
                     parola che ha fatto cilecca.


(Traduzioni di Damiano Abeni e Moira Egan da “Cielo notturno con fori d’uscita”, La nave di Teseo, 2017)


#stranieri / SEFERIS Giorgos (1900 - 1971)

 

Giorgos Seferis, pseudonimo di Georgios Seferiadis (Smirne, 13 marzo 1900, 29 febbraio secondo il calendario giuliano – Atene, 20 settembre 1971) è stato un poeta, saggista e diplomatico greco, premio Nobel per la letteratura nel 1963.
È considerato uno dei maggiori poeti greci del novecento, insieme a Odysseas Elytīs, Ghiannis Ritsos e Konstantinos Kavafis. Nel 1963 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura.
Studiò Giurisprudenza a Parigi dove seguì il padre, noto giurista e letterato. È il 1922 quando con la "catastrofe dell'Asia Minore" svanisce ogni sogno di potenza ellenica. Quel disastro incise profondamente nell'animo del giovane, che in seguito avrebbe parlato nella sua poesia di popoli e civiltà in esilio.
Ritornò ad Atene. Entrò nel corpo diplomatico. Nel 1941 seguì la sorte del governo greco al Cairo. Aveva avuto a Parigi intense relazioni nell'ambiente artistico.
A Londra si incontrò con la poesia di Eliot e con autori francesi (da Mallarmé a Valéry) che, anche attraverso le traduzioni da lui realizzate, lo aiutarono nella sua ricerca. Le altre fonti di ispirazione, greche antiche, elleniche e moderne, furono perlopiù della sua terra, a cominciare da Omero (evocato nella Svolta, nella Leggenda con la riproposizione di una Odissea in miniatura, e nella Lettera sul Tordo), per continuare con Sofocle (ripreso nel Tordo) ed Erodoto (aleggiante nelle Memorie). Non mancano gli accostamenti alle liriche di Kalvos, soprattutto per il linguaggio, e a quelle di Kavafis.
Soggiornò anche in Albania, nel Nord Africa e in Medio Oriente.
Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1963.
Nel 1969 Seferis prese posizione pubblicamente e duramente contro la Dittatura dei colonnelli in Grecia. Anche il suo stesso funerale, il 20 settembre 1971, venne trasformato in una massiccia dimostrazione contro il governo militare.
Alcuni suoi versi, come ad esempio il Rifiuto, sono stati musicati da Mikīs Theodōrakīs.

Opere di poesia

Svolta (1931)
La cisterna (1932)
Leggenda, ed. Katalìa (1935)
Gimnopedìa, Lettere nuove (1936)
Quaderno d'esercizi 1928-1937 (1940)
Giornale di bordo I (1940)
Giornale di bordo II (1944)
Il tordo, ed. Ikaros (1947)
Trad. di T.S.Eliot The waste land e altre poesie, ed. Ikaros (1949)
Giornale di bordo III (1955)
Poesie, ed. Ikaros (1961)
Tre poesie segrete (1966)
Note per una settimana (1968)
Gatte di San Nicola (1969)

Traduzioni in italiano

Poesie, traduzione, scelta e introduzione di Filippo Maria Pontani, Milano, Arnoldo Mondadori, 1963
Le poesie, trad. Nicola Crocetti, intr. Nicola Gardini, Milano, Crocetti, 2017


HO LASCIATO
Ho lasciato passare una fiumana
fra le mie dita
senza bere una stilla: m’accoro….
Naufrago nella pietra
Un pino basso sulla terra rossa,
l’unica compagnia.
Tutto che amai s’è perso con le case
che l’altra estate erano nuove, e sono
dirupate nel vento dell’autunno.
 
ALLA MANIERA DI G.S.
Dovunque viaggio la Grecia m’accora.
Al Pelio fra i castagni la camicia di Nesso
sgusciava tra le foglie per fare viluppo al mio corpo,
mentre salivo l’erta e mi seguiva il mare
salendo anch’esso come mercurio di termometro
fin che trovammo l’acqua alla montagna.
A Santorino, come sfioravo isole naufraghe
e udivo chissà dove tra le pomici un flauto,
inchiodò la mia mano al discollato
una freccia vibrata d’un tratto
dal limitare d’una giovinezza
spenta. A Micene sollevai i macigni e i tesori degli Atridi
e mi giacqui con essi all’albergo «Belle Hélène»;
dileguarono all’alba, quando garrì Cassandra
con un gallo sospeso al collo nero.
A Spezze a Poro a Mìcono
tutto lo strazio delle barcarole.
Che vogliono costoro che si credono
di trovarsi ad Atene, al Pireo?
Uno di loro viene da Salamina e chiede all’altro se
«viene dalla Concordia»
«No da piazza Statuto» risponde compiaciuto
l’altro: «ho incontrato Gianni, m’ha pagato un gelato».
Intanto la Grecia viaggia.
Noi non sappiamo nulla, non sappiamo d’essere tutti, tutti
marittimi in disarmo,
non sappiamo l’amaro del porto
quando tutte le navi sono in viaggio.
Ci burliamo di quelli che lo sentono.
Strana gente che crede di trovarsi nell’Attica
E non è in nessun posto:
acquistano confetti per le nozze
hanno «lozioni per capelli», si fanno
fotografare,
come l’uomo che ho visto oggi seduto
su un fondale di fiori e piccioni:
si lasciava spianare dalla mano di un vecchio fotografo le rughe
lasciate sul suo viso
da tutti i volatili del cielo.
Intanto la Grecia viaggia, viaggia sempre
e se «fiorir vediamo il mare Egeo di morti»,
sono quelli che vollero prendere la grande nave a nuoto,
quelli stanchi d’attendere le navi che non salpano,
l’ELSA, l’AMBRACICO, la SAMOTRACE.
Fischiano adesso le navi che fa sera al Pireo,
fischiano fischiano sempre, ma non si muove argano
e non brilla catena madida nell’estrema luce che muore,
e il capitano resta pietrificato, tutto bianco e oro.
Dovunque viaggio la Grecia m’accora:
cortine di montagne, arcipelaghi, nudo granito.
La nave che viaggia si chiama AGONIA 937.
 
EFESO
Parlava seduto su un marmo
simile a rovina d’antico portale:
sterminato e vuoto a destra il campo
a sinistra scendevano le ombre dal monte:
“La poesia è ovunque. La tua voce
a volte incede al suo fianco
come il delfino che per poco ti accompagna
vascello d’oro nel sole
e poi scompare. La poesia è ovunque
come le ali del vento nel vento
che per un attimo hanno sfiorato le ali del gabbiano.
Uguale e diversa dalla nostra vita, come cambia
il volto di una donna che si è spogliata,
e tuttavia rimane uguale. Lo sa
chi ha amato: alla luce degli altri
il mondo implode; ma tu ricorda
Ade e Dioniso sono la stessa cosa”.
Disse, e imboccò la grande strada
che mena al porto di un tempo, ora inghiottito
laggiú fra i giunchi. Il crepuscolo pareva
per la morte di un animale,
cosí nudo.
Ricordo ancora:
viaggiava sulle coste della Ionia, in vuote conchiglie di teatri
dove solo la lucertola striscia sull’arida pietra,
e io gli chiesi: “Un giorno torneranno a riempirsi?”
E mi rispose: “Forse, nell’ora della morte”.
E corse nell’orchestra urlando:
“Lasciatemi ascoltare mio fratello!”.
Ed era duro il silenzio attorno a noi
e non rigato nel vetro dell’azzurro.

SCIROCCO
A occidente si mescola il mare a una catena di montagne.
Ci soffia da mancina lo scirocco e c’impazza,
questo vento che spoglia della carne le ossa.
Nostra casa fra i pini e le carrube.
Grandi finestre, grandi tavoli per scrivere
le lettere che già da tanti mesi
ti scriviamo e gettiamo
nella separazione per colmarla.
Astro dell’alba, tu chinavi gli occhi
ed erano le nostre ore piú dolci
dell’olio alla ferita, piú gioconde dell’acqua
fresca al palato, placide piú che l’ala del cigno.
Era la nostra vita nel tuo palmo.
Di là dal pane amaro dell’esilio
se ristiamo la notte dinanzi al muro bianco
la tua voce s’accosta, è una speranza
di fuoco. E ancora questo vento affila
sui nostri nervi un rasoio.
Ti scriviamo ciascuno le stesse
cose, ciascuno innanzi all’altro tace
rimirando per sé lo stesso mondo,
la luce e l’ombra sopra le montagne
e te.
Chi mai ci leverà dal cuore tanta pena?
Ieri sera, tempesta; oggi di nuovo
pesa il cielo infoscato. Ora i pensieri
come gli aghi di pino ieri nella tempesta
sulla porta di casa accolti e vani
innalzano un castello che dirupa.
Qui tra questi paesi decimati, su questo
promontorio sguernito allo scirocco
con la catena di montagne innanzi, che ti cela,
chi ci calcolerà l’impegno dell’oblio?
Chi accoglierà la nostra offerta, in questa fine d’autunno.
(Traduzioni di Filippo Maria Pontani)





#stranieri / GORMAN Amanda (1998 - viv.)

 

Amanda S. C. Gorman (Los Angeles, 7 marzo 1998) è una poetessa e attivista statunitense.
I suoi lavori trattano in particolare i temi dell'oppressione, il femminismo, il razzismo, l'emarginazione e la diaspora africana. Nel 2015 ha pubblicato il libro di poesie The One for Whom Food Is Not Enough. Nel 2017 è stata la prima vincitrice del titolo di National Youth Poet Laureate, che premia il migliore giovane talento nel campo della poesia degli Stati Uniti. Nel 2021 è stata scelta per leggere una sua poesia in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo presidente statunitense Joe Biden.
Amanda Gorman è nata a Los Angeles, in California, nel 1998, ed è stata cresciuta dalla madre, l'insegnante di inglese Joan Wicks, insieme ai suoi due fratelli e sorelle. Ha una sorella gemella di nome Gabrielle, a sua volta attivista.
Da bambina le è stato diagnosticato un disturbo dell'elaborazione uditiva (sindrome di King-Kopetzky), ed è ipersensibile al suono; ha anche problemi di articolazione del discorso che le rendono difficile pronunciare determinate parole e suoni, come la lettera "r". A casa sua l'accesso alla televisione era limitato, e per questo fin da piccola si è dedicata alla lettura e alla scrittura, iniziando a comporre poesie all'età di otto anni.
A partire dall'asilo e fino alle superiori ha frequentato la New Roads, una scuola privata di Santa Monica, e in seguito ha studiato sociologia ad Harvard.
Nel 2014, mentre frequentava le superiori, uno dei suoi insegnanti le ha suggerito di iscriversi al concorso per il Youth Poet Laureate di Los Angeles, un'iniziativa creata da Urban Word, organizzazione no profit per lo sviluppo giovanile nel campo delle arti letterarie. Gorman ha presentato alcune sue poesie sul tema dell'ingiustizia sociale, che hanno colpito particolarmente la giuria facendole vincere il primo premio. L'anno successivo ha pubblicato il suo primo libro di poesie, intitolato The One for Whom Food Is Not Enough.
A 16 anni è diventata delegata giovanile alle Nazioni Unite e nel 2017 è stata la prima vincitrice del titolo di National Youth Poet Laureate, che premia il migliore giovane talento nel campo della poesia degli Stati Uniti.
Nello stesso anno è diventata la prima poetessa giovanile ad inaugurare la stagione letteraria della Biblioteca del Congresso, e ha letto le sue poesie su MTV. A New York la Morgan Library & Museum ha acquistato la sua poesia In This Place (An American Lyric) e l'ha esposta accanto ai lavori di Elizabeth Bishop. Ha scritto un tributo dedicato agli atleti di colore per una campagna pubblicitaria della Nike e ha firmato un contratto con Viking Press per scrivere due libri per bambini.
La poesia di Amanda Gorman tratta in particolare i temi dell'oppressione, il femminismo, il razzismo, l'emarginazione e la diaspora africana. Ha fondato un'organizzazione no profit chiamata One Pen One Page per fornire programmi di scrittura creativa e la possibilità di pubblicare i propri lavori a giovani svantaggiati.
Nel 2021 è stata scelta per leggere una sua poesia, intitolata The Hill We Climb, in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo presidente americano Joe Biden. Gorman è la più giovane poetessa a recitare una poesia ad una cerimonia di insediamento. Nella settimana precedente l'evento, Gorman ha lasciato una dichiarazione al critico letterario del Washington Post Ron Charles: «la mia speranza è che la mia poesia rappresenti un momento di unità per il nostro paese [...] con le mie parole potrò parlare ad una nuova era e ad un nuovo capitolo della nostra nazione». In passato Maya Angelou aveva declamato i propri versi in occasione dell'insediamento di Bill Clinton, mentre Robert Frost aveva partecipato alla cerimonia di investitura di John Fitzgerald Kennedy.
Il 26 gennaio la Gorman ha firmato un contratto con l'agenzia di moda statunitense IMG Models, facente parte del gruppo William Morris Endeavor, che rappresenta modelle come Gigi Hadid e Gisele Bündchen, oltre a varie personalità dello spettacolo e dello sport. L'intento di IMG è quello di costruire una nuova immagine di eleganza, basata «sulla sostenibilità, sullo scardinamento dei codici del passato e l'abbandono delle strade già percorse».
Nel marzo 2021 Amanda Gorman e la sua casa editrice sono state oggetto di alcune critiche per aver revocato la traduzione in catalano della poesia The Hill We Climb allo scrittore e musicista di Barcellona Victor Obiols, dopo che questi aveva già terminato e consegnato il lavoro, in quanto uomo, bianco, e non più giovane. Un caso analogo si era verificato alcune settimane prima, quando la poetessa olandese Marieke Lucas Rijneveld aveva dovuto rinunciare all'incarico di traduzione della poesia in seguito alle critiche ricevute per il fatto che era stata scelta lei e non una poetessa nera.
VOGUE Magazine Le ha dedicato la prima di copertina del numero di maggio 2021 pubblicando a piena pagina una foto della Gorman scattata da Annie Leibovitz titolando: "The rise and rise of Amanda Gorman. Poet, activist, phenomenon".


The Hill We Climb
(La collina che noi saliamo)

All’arrivo del giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra infinita.
La perdita che ci sentiamo addosso, un mare che dobbiamo affrontare.
Abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che è “giusto” non sempre sono giustizia.
Eppure, l’alba arriva prima ancora che ce ne accorgiamo.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo sostenuto e testimoniato una nazione che non è rotta, ma solo incompiuta.
Noi, gli eredi di un paese e di un’epoca in cui una ragazzina magra, afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single,
può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi
a recitare davanti a un altro presidente.

Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che siamo impegnati a formare un’unione perfetta.
Desideriamo plasmare un’unione che abbia uno scopo,
di dar vita a un paese che sia devoto a ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci separa, ma per riconoscere quello che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Lasciamo cadere le braccia ai fianchi così da poterci abbracciare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti. Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
che anche nel lutto, siamo cresciuti.
che anche nel dolore, abbiamo sperato.
Che anche nella stanchezza, ci abbiamo provato.
Che saremo legati per l’eternità, insieme, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non semineremo più discordia.

Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Per vivere all’altezza del nostro tempo, la vittoria non può venire dalla spada, ma dai ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa da celebrare, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato di cui facciamo parte ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scosso il nostro paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse annullato la democrazia.
Uno sforzo quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rimandata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
A questa verità, a questa fede, ci affidiamo,
perché finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti a essere gli eredi di un’ora tanto buia,
ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci chiedevamo come sopravvivere alla catastrofe. Oggi dichiariamo che in nessun modo la catastrofe può prevalere su di noi.

Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma andremo verso quello che ci aspetta:
un paese ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro lascito e il cambiamento,
dando ai nostri figli un nuovo diritto di nascita.

Perciò, fateci vivere in un paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro del mio petto martellato in bronzo, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi,
fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città del Midwest, circondate dai laghi.
Risorgeremo dal Sud circondato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ripartiremo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato paese,
la nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, stanca eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sorgerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre la luce,
se solo avremo il coraggio di vederla.
Se solo avremo il coraggio di essere noi luce.

(traduzione di Marta Bardazzi)


#stranieri / CREELEY Robert (1926 - 2005)

 

Robert Creeley (Arlington, 21 maggio 1926 – Odessa, 2 aprile 2005) è stato un poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna.
Iscrittosi ad Harvard non conclude però gli studi ma vive intensamente vicino a Charles Olson - poeta statunitense e direttore del College che influenzò la Beat Generation - l'esperienza del Black Mountain College, per il quale diresse la rivista "Black Mountain College Review" nel North Carolina. Egli pubblica le sue prime poesie sulla rivista "Wake" ad Harvard e nel 1949 inizia una fitta corrispondenza con William Carlos Williams ed Ezra Pound. L'anno seguente il poeta conosce Charles Olson con il quale stringe una forte amicizia.
Amico dei più importanti artisti moderni, lavorava spesso con loro a diversi progetti riguardanti mostre e libri ed era inoltre un appassionato di musica jazz. Amava l'arte in tutte le sue forme e si recava ovunque per tenere reading che lo resero popolare. La reputazione che aveva, soprattutto Oltreoceano, era quella di poeta postmoderno che aveva contribuito a rinnovare la poesia americana nel mondo durante il Secondo Dopoguerra. Amato per i suoi esperimenti linguistici venne considerato un grande degli anni cinquanta nel momento della maggiore cultura degli USA e la sua poesia venne ascoltata e accolta con immenso entusiasmo. Ammirato e lodato da Allen Ginsberg per gli esperimenti linguistici all'avanguardia, pubblicò una sessantina di libri in un linguaggio teso e rigoroso attento alle tematiche delle tensioni umane quotidiane.
Viaggia in Europa e in Asia, vivendo per quarant'anni - con frequenti ritorni in America - in Giappone, a partire dal 1953, dove apprende la filosofia buddista e l'insegnamento zen. Nel 1954 Olson, che era rettore del Black Mountain College, un collegio di arti sperimentali nel North Carolina, invita Creeley a collaborare all'edizione della rivista Black Mountain Review. Tornato in America vive a Taos e a San Francisco. Nel 1956 si reca in Nuovo Messico per insegnare ad Albuquerque e in seguito in una finca nel Guatemala. Nel 1960 Creeley riceve il Master's Degree dall'Università del Nuovo Messico ad Albuquerque. Colpito da enfisema polmonare non volle mai farsi curare e negli ultimi anni andò a vivere a Buffalo, nello Stato di New York, dove è morto.

Alcune raccolte di poesie

Per amore (For love - Poems 1950 - 1960, 1962)
Parole (Words, 1967)
Trenta cose (Thirty things, 1974)
Più tardi (Later, 1979)
Echi (Echoes, 1982)
Specchi (Mirrors, 1983)
Memorie (Memories, 1984)
Finestre (Windows, 1990)
Life & Death (1993)


L’avvertimento

Per amore – ti spaccherei
la testa e t’infilerei
una candela
dietro gli occhi.
L’amore è morto in noi
se dimentichiamo
le virtù di un talismano
e lo stupore.


La collina

È qualche tempo da quando sono stato
da ciò che una volta mi aveva riportato indietro
e aveva ridotto il mio capo
ad un crudele strumento.
È semplice
da ammettere. Poi attuato
andar via, andar via,
tornare ancora.
Ma quella forma, devo replicare,
è morta in me, completamente
e non le permetterò
di ricomparire –
Questo dice la perversità, l’ostinata
magnanima crudeltà
che è in me
come una collina.


Le pietre

Cercando di pensare
ad una via d’uscita,
le pietre del pensiero
che spostano,
lanciate
in acqua,
molte altre cose.
Così la vita
è acqua, anche l’amore
ha una sostanza
simile.
Mancando
l’acqua una domenica
mattina Dio
non provvederà –
che sia mia moglie,
il suo calore
disteso
al mio fianco, che sia questo
senso di calda
umidità la condizione
di ogni fioritura?
Lascia cadere
la pietra,
pensa bene, pensa
bene di me.

Traduzioni tratte da  Per amore (trad. di A. Lombardo, Mondadori, 1971)



domenica 13 luglio 2025

#stranieri / ARMANTROUT Rae (1947 - viv.)


Rae Armantrout (Vallejo, 13 aprile 1947) è una poetessa statunitense. Rae Armantrout è nata a Vallejo il 13 aprile 1947 dall'ufficiale navale John e dall'addetta alle vendite Hazel Armantrout.
Compagna di studi della scrittrice Denise Levertov, ha conseguito un B.A. all'Università della California - Berkeley e successivamente un M.A. alla San Francisco State University.
Tra i poeti fondatori della tendenza d'avanguardia degli anni '70 denominata Language poets, ha insegnato per circa un ventennio all'Università della California, San Diego.
Autrice di 16 raccolte poetiche e presente in numerose antologie, la sua collezione di liriche Versed è stata insignita nel 2009 del National Book Critics Circle Award e l'anno successivo del Premio Pulitzer per la poesia.

Opere di Poesia
Extremities (1978)
The invention of hunger (1979)
Precedence (1985)
Necromance (1991)
Couverture (1991)
Made To Seem (1995)
Veil: New and Selected Poems (2001)
The Pretext (2001)
Up to Speed (2004)
Next Life (2009)
Versed (2009)
Money Shot (2011)
Just Saying (2013), Roma, Giulio Perrone, 2014 traduzione di Paolo Rigo e Ilaria Saturnini 
Itself (2015)
Partly: New and Selected Poems, 2001-2015 (2016)
Wobble (2018)


Come scomparire
1
Stavi oscillando senza pace
fra un’immagine di spontaneità
e un’immagine di una seria pensosità.
Stavi cambiando corsie
dopo un’occhiata
a uno specchio sincero
circa la propria tendenza a distorcere.
 
Che scelta avevi?
 
Era confortante osservare
gli sbuffi di fumo
da un camino nelle vicinanze
che scomparivano
uno ad uno.
 
2
Ti piacciono le pulsazioni,
 
le dorsali, le increspature
che si distendono nell’oscurità?
 
Preferiresti uno sfarfallio
verso una fonte di luce stabile?
 
Questa balbetta
lievemente,
 
indecisa,
 
come se potesse tenere qualcosa
di scorta
 
Traduzione di Francesco Tomada


E
1
Teso e tenue
crescono dalla stessa radice
come pure tenero
nelle sue diverse forme:
il fiore dell'acetosella;
la falena gialla.
2
Non vorrei confondere
il fasullo
con il falso.
Il fasullo
è un pollice dolente
mentre il falso
si rovescia
come fanno pesci e giocolieri.

Traduzione di Valentina Meloni

#stranieri / GRUNBEIN Durs (1962 - viv.)

 


 Durs Grünbein (Dresda, 9 ottobre 1962) è un poeta, saggista e traduttore tedesco, una delle più importanti voci della poesia tedesca ed europea contemporanea. Cresce a Hellerau, un sobborgo periferico di una città, Dresda, del cui splendore barocco erano rimaste solo le macerie. I genitori non sono iscritti al partito. La madre ha studiato chimica, il padre ingegneria aeronautica. I precoci interessi scientifici, favoriti dall’ambiente familiare, entrano in un fecondo rapporto di osmosi con quelli per la poesia, accesi dalla lettura di Novalis, Hölderlin, Pound.
Inizia a scrivere poesie giovanissimo. Abbandona l’idea di diventare veterinario. Si trasferisce a Berlino Est nel 1985, dopo avere assolto il servizio militare nella Nationale Volksarmee. Avendo rifiutato il servizio nella pattuglia armata di sorveglianza dei confini che aveva l’obbligo di sparare su chi tentava la fuga, non gli è concesso di iscriversi a Germanistik. Studia teatro ma interrompe gli studi alla Humboldt-Universität di Berlino dopo quattro semestri, deluso di non potere studiare ciò che vorrebbe. Si avvicina ai collettivi artistici dell’Accademia di Belle Arti di Dresda, lavora per le riviste, per il teatro e come aiuto nel padiglione fisico-matematico dello Zwinger.
Viene scoperto da Heiner Müller: «l’unica istanza nella letteratura della Germania orientale che potessi prendere sul serio – colui che aveva l’orizzonte di pensiero più ampio» come Durs Grünbein dichiara nella sua intervista a Die Zeit del 24 ottobre 2013, poco dopo il suo trasferimento a Roma. Heiner Müller gli procura l’invito per la fiera del libro di Francoforte dove Durs Grünbein presenta Grauzone morgens, il volume di liriche che lo fa conoscere internazionalmente, e tiene la sua laudatio quando nel 1995 gli viene conferito, a soli 33 anni, il massimo premio letterario tedesco, il Büchner-Preis. Subito dopo la caduta del muro, «dal decisivo anno 1989», Durs Grünbein intraprende una densissima serie di viaggi.
Berlino diventa «lo spazio di transito»: «sarebbe uguale se fosse New York». Viaggia in Europa, nell’Asia sudorientale e negli Stati Uniti, dove è ospite dei German Departments della New York University, del Dartmouth College e della Villa Aurora a Los Angeles. Nel 1994, nella zona degli scavi di Pompei ed Ercolano, ha l’esperienza epifanica descritta in Vulkan und Gedicht (Vulcano e poesia). Membro, fra l’altro, dell’Akademie der Künste di Berlino, della Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung e della Sächsische Akademie der Künste, Durs Grünbein è dal 2005 professore di poetica presso la Kunstakademie di Düsseldorf alla cui università è Guest Professor nel 2007-2008. Nel 2008 riceve un altro riconoscimento altissimo, l’ordine Pour le mérite per la Scienza e le Arti a Berlino: tiene la sua laudatio l’8 giugno 2009 Hans Magnus Enzensberger. Nel 2009 trascorre un anno a Roma come borsista di Villa Massimo.
Le lezioni di poetica tenute a Francoforte (Frankfurter Poetikvorlesung 2009) sono pubblicate con il titolo Vom Stellenwert der Worte (La valenza delle parole). Nel 2013 il volume Durs Grünbein. A Companion, nella serie Companions to Contemporary German Culture, lo definisce «Germany’s most prolific, versatile, succesfull and internationally renowned contemporary poet and essayist». Durs Grünbein da parte sua si dichiara semplicemente «poeta in lingua tedesca»: «poeta», «Dichter», nel senso forte del termine, comprensivo della scrittura in versi e in prosa come pure di un’attività di traduttore che, come scriveva Novalis, vuole «rendere noto l’ignoto – ignoto il noto». Autodidatta di sterminate letture, Grünbein vede la poesia come «capacità di connettere nel modo più rapido possibile ciò che di per sé è distante». Non stupisce che passi dalle traduzioni di Eschilo e Seneca ai «diari di viaggio in haiku», «forma breve-brevissima», mediatagli da Ezra Pound, Lafcadio Hearn e Jun’ichirō Tanizaki.
Un poeta doctus? Grünbein ha sempre rifiutato questa classificazione che misconosce il senso della sua professione di fede nella letteratura antica, «l’humus etimologico della nostra lingua»
La critica gli riserva lodi somme e attacchi feroci, dovuti anche all’imprevedibilità delle sue scelte. Nel suo complesso itinerario declina su molti versanti alcune costanti: la messa in guardia dai rischi della specializzazione disciplinare, una “poetica fisiologica” (accostabile in ambito italiano a quella di Valerio Magrelli), il confronto con gli esiti della neurofisiologia e dei concetti e linguaggi delle hard sciences, dalla fisica quantistica alla zoologia. La sua ricchissima produzione rivela fra l’altro la profondità del suo legame con l’Italia e una personalissima idea di letteratura mondiale che lo qualifica come autenticamente cosmopolita, animato da un genuino ethos civile emerso con esemplare chiarezza nel febbraio 2015 di fronte alle dimostrazioni della Pegida.
Come si legge nel «Times Literary Supplement» del 18 febbraio 2000, «Grünbein is a truly cosmopolitan poet». Il punto di partenza e di approdo è la fiducia incrollabile nella parola della «poesia». È questa la motivazione con cui nel 2006 gli è stato conferito il Premio Pasolini. Nel 2018 è apparsa la traduzione di una scelta autografa della sua saggistica per il pubblico italiano, I bar di Atlantide e altri saggi, presentata su «Il Sole 24 Ore» del 27 gennaio 2019 con il significativo titolo La poesia, prima esperienza di libertà.

Opere
Grauzone morgens. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1988
Schädelbasislektion. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991
Falten und Fallen. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994
Den Teuren Toten. 33 Epitaphe. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994
Von der üblen Seite. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1994
Die Schweizer Korrektur. (con Brigitte Oleschinski e Peter Waterhouse). Urs Engeler Editor, Göttingen 1995
Den Körper zerbrechen. Rede zur Entgegennahme des Georg-Büchner-Preises. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1995
Galilei vermißt Dantes Hölle und bleibt an den Maßen hängen. Aufsätze 1989–1995. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1996
Nach den Satiren. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1999
Gehirn und Denken. Kosmos im Kopf. Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2000
Reise, Toter. Hörspiel mit Ulrike Haage. Sans Soleil, Bonn 2001
Das erste Jahr. Berliner Aufzeichnungen. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2001
Erklärte Nacht. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2002
Una Storia Vera. Ein Kinderalbum in Versen. Insel, Frankfurt a.M. 2002,
Warum schriftlos leben. Aufsätze. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003
Vom Schnee oder Descartes in Deutschland. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2003
An Seneca. Postskriptum. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004
Von ganzem Herzen. Nicolai Verlag, Berlin 2004
Berenice. Ein Libretto nach Edgar Allan Poe für eine Oper von Johannes Maria Staud, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004
Antike Dispositionen. Aufsätze. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005
Porzellan. Poem vom Untergang meiner Stadt. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005
Der Misanthrop auf Capri. Historien und Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005
Strophen für übermorgen. Gedichte. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2007
Liebesgedichte. Gedichte. Insel, Frankfurt a.M. 2008
Der cartesische Taucher. Drei Meditationen. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2008
Lob des Taifuns. Reisetagebücher in Haikus. Insel, Frankfurt a.M. 2008
Die Bars von Atlantis. Eine Erkundigung in vierzehn Tauchgängen. Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2009
Vom Stellenwert der Worte. Frankfurter Poetikvorlesung 2009. Suhrkamp, Berlin 2010
Aroma. Ein römisches Zeichenbuch. Suhrkamp, Berlin 2010
Koloß im Nebel. Gedichte. Suhrkamp, Berlin 2012
(con Aris Fioretos), Verabredungen. Gespräche und Gegensätze über Jahrzehnte, Suhrkamp, Berlin 2013
Cyrano oder Die Rückkehr vom Mond. Suhrkamp, Berlin 2014
Die Jahre im Zoo. Ein Kaleidoskop. Suhrkamp, Berlin 2015
Der Misanthrop auf Capri - Historien/Gedichte. Suhrkamp, Berlin 22016
Zündkerzen - Gedichte. Suhrkamp, Berlin 2017
Oper. Libretti. Suhrkamp Suhrkamp, Berlin 2018
Aus der Traum (Kartei). Aufsätze und Notate, Suhrkamp, Berlin 2019
Durs Grünbein, Il bosco bianco. Poesie e altri scritti, con testo tedesco a fronte, a cura di Rosalba Maletta, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2020. ISBN 9788857572987.

Traduzioni in italiano
A metà partita: poesie 1988 - 1999, traduzione di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino 1999.
Il primo anno. Appunti berlinesi, traduzione di Franco Stelzer, Einaudi, Torino 2004.
Della neve ovvero Cartesio in Germania, traduzione di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino 2005.
Infanzia in diorama, traduzione di Silvia Ruzzenenti, in "Comunicare - Letterature Lingue" N. 7, 2007, Il Mulino, Bologna, pp. 241–249.
Strofe per dopodomani e altre poesie, a cura di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino 2011.
Il consiglio dei gamberi e altre passeggiate sott'acqua, traduzione di Silvia Ruzzenenti, in "Prosa saggistica di area tedesca", a cura di G. Cantarutti e W. Adam, Il Mulino, Collana "Scorciatoie", Bologna 2011, pp. 17–50.
La strada per Bornholm racconto presente in La notte in cui cadde il muro, a cura di Renatus Deckert, traduzione di Valentina Freschi, Scritturapura Editore, Collana Paprika, Asti 2009.
I russi alle porte di Dresda, L'orologio della scuola, traduzione di Sergio Garau, in "Atti impuri" n. 9 , 2016, Miraggi, Torino, pp. 52-67. Comprende anche Conversazione con Durs Grunbein, a cura di sparajurij, ivi, pp.44-51.
I bar di Atlantide e altri saggi, traduzione di Giulia Cantarutti e Silvia Ruzzenenti, Einaudi, Torino 2018

Psiche in moto

Vengono giorni in cui sola salvezza è mescolarsi
al profluvio di gente che riempie le strade fino all’orlo.
Camminare, camminare – avido di volti come sei,
aprire un varco nella densità del traffico.
La città: reparto psichiatria a porte aperte. In incognito
porti ciò che solo tu puoi portare, il carico
della tua psiche. Piacevole sensazione di vuoto.
Ci sei, non ci sei – tu, come chiunque altro.
 
La solitudine era materia condivisa
e dai tempi della scuola somma insidia: matematica.
L’esercizio di rendersi invisibile,
crudele addestramento che guariva ogni baldanza.
Il rimedio: camminare, camminare. Partiva dal cervello, dalla nuca,
il moto attraverso la città in gironi concentrici.

(traduzione di Valentina di Rosa)

LA TORRE DELLA CONTRAEREA

«… sta come un’isola nel mare.
I russi andati da tempo.»
E ancora resiste, assediata dal verde,
dai cespugli, più alta
del fitto degli alberi in mezzo
al mare di case: il bunker di Humboldt,
nessuna ferita, più, della memoria.
Intorno si rincorrono i bambini,
giocano a nascondino fra gli arbusti,
frusciano nel fogliame gli scoiattoli.
Una volta ci hanno trovato un cadavere.
La polizia aveva transennato l’area
un bel pezzo intorno, messa in sicurezza delle tracce.
«Omicidio nello Humboldthain!»
strillava il foglio locale –
uno di molti casi annui.
In cerca di avventura
c'è ancora chi si infila nel pozzo,
striscia nelle camere delle condutture.
Ci trovano siringhe, preservativi
nelle rovine del Terzo Reich.
Altri scalano le pareti.
Il mostro garantisce al contatto
la pelle d’oca. Il freddo umido del calcestruzzo
un sentimento nella punta delle dita.
Dal diario di un Flakhelfer,
fine aprile 45 (il Führer, tramite colpo in testa,
si è squagliato nel Valhalla,
l’aria piena di fumo, opaca, corrosiva):
«Nei cinque piani dappertutto morti.
... più nessun aiuto, il cambio non arriverà.»
 
(traduzione di Elena Grammann)

Spudoratezze

E se ti domandano di nuovo  «che cos’è per lei felicità?» ‒
Le riviste con le foto a colori (lifestyle eccetera),
allora dici: aver voglia. Quattro sillabe. Infatti è raro
e prezioso quello stato che si sottrae alla morte.
Cosa c’è di più bello che buttarsi distesi sui lenzuoli?
O uomo o donna, pensate (e con attenzione), che cosa supera
la beatitudine di fare spudoratezze?
                                                              Quest’ansimare
col profumo che riarso aleggia. Lo scatenato
rotolarsi insieme, sorridendo come tanti satiri,
i brividi alla schiena. Il sudore s’imperla alle narici.
E chi lo sente più il tic tac degli orologi. Presto è finito
il caldo e il freddo. Prima che dopo l’atto si distacchino,
lascivia si chiama questo, follia, libidine. – Finché innervosito
dal gridio il vicino non bussa alla parete e grida: fuck!

(traduzione di Anna Maria Carpi)

#stranieri / HILL Geoffrey (1932 - 2016)

 

Geoffrey Hill (Bromsgrove, 18 giugno 1932 – 30 giugno 2016) è stato un poeta britannico fondatore co-direttore dell'Editorial Institute alla Boston University.
Geoffrey Hill nacque a Bromsgrove, in Inghilterra, nel 1932. Quando aveva sei anni, la sua famiglia si trasferì nei pressi di Fairfield (Worchestershire), dove frequentò la scuola elementare locale. Nel 1950 fu ammesso Keble College di Oxford per studiare inglese, dove pubblicò le sue prime poesie nel 1952, all'età di venti anni. Dopo essersi laureato a Oxford, Hill intraprese una carriera accademica, insegnando all'University of Leeds dal 1954 fino 1980. Dopo aver lasciato Leeds, passò un anno all'University of Bristol prima di diventare un insegnante all'Emmanuel College di Cambridge, dove insegnò dal 1981 fino al 1988. Si trasferì negli Stati Uniti, dove diventò professore di letteratura e religione alla Boston University. Nel 2006, tornò a Cambridge. Hill è stato sposato con Alice Goodman, con cui ha avuto una figlia.

Opere
For the Unfallen (1958)
King Log (1968)
Mercian Hymns (1971)
Tenebrae (1978)
The Mystery of the Charity of Charles Péguy (1983)
New and Collected Poems (1994)
Canaan (1997)
The Triumph of Love (1998)
Speech! Speech! (2000)
The Orchards of Syon (2002)
Scenes from Comus (2005)
Without Title (2006)
Selected Poems (2006)
A Treatise of Civil Power (2005)
A Treatise of Civil Power (2007)

*

XIV 
L’altura, tra una foschia traboccante di calura, grigio cenere, 
in poche ore si muta in grafite, corallo, 
il colore raro della sabbia libica o lo spettro a bande. 
Greggi distanti si fondono alla luce incerta della pietra calcarea. 
La luna piena, ora, arretra con incedere scevro di sollecitudine, 
disegna la nera estremità del contorno, fa scivolare in giú 
una sottile lucentezza di sbieco allo sfasciume inzuppato e scavato. 
Il timore non è pace, non uno dei doveri 
sacri nella mediazione. La memoria 
trova sostanza in se stessa. Qualunque cosa si sia riportato, 
l’uno per l’altro, mascheratura e smascheratura, 
lavorati e oscuramente penetrati 
da ogni peculiare cambio di chiarezza, 
di serena testimonianza, né mia né vostra, 
chiederò all’ispida centaurea di tradurlo. 
Salvati dall’immersione, sonno, dimenticanza, 
il salice tinto e la cenere dalla fragile trama, 
un fascio di felci non calpestato, una quercia dal corno scorticato, 
gli argenti ondeggianti nel fiume scurito. 
Piú tardi di nuovo, ben piú in alto sull’altura, 
una lampada solitaria, notturna lampa, 
il fuoco della notte che focalizzava, vide LEOPARDI, 
se stesso come uno straniero, di ritorno tardi, una volta, 
da qualche dimenticata festa di villaggio. 

da The Orchards of Syon [I frutteti di Sion], 2002

*

I guardiani 

I giovani, alzatisi presto, se n’erano andati, 
Alcuni in escursione oltrel’imbocco della baia, 
Altri verso i laghi, fragile sole riflesso. 
Nuvoloni tonanti s’addensano, goffi, da sud; 
Ivecchi li osservano. Hanno osservato crollare 
Porti sicuri e affollati sotto burrasche improvvise, 
Irrompere grandi maree, bruciare al pontile panfili 
Che su mari puliti spiegavano vele efficaci. 
Vi sono silenzi. Anche questi loro sopportano: 
Dolci sviluppi; dolci scosse d’una calma in assestamento. 
Tranquillamente sguazzano sulla spiaggia turbata; 
Raccolgono i morti non appena i primi a pelo giungono a riva.

Da For the Unfallen [Per quelli che restano], 1959
 
traduzioni di Marco Fazzini
[Per chi non è caduto. Poesie scelte 1959-2006, luca sossella editore, Roma 2008.]



 

#stranieri / OLIVER Mary (1935 - 2019)


Mary Oliver (Maple Heights, 10 settembre 1935 – Hobe Sound, 17 gennaio 2019) è stata una poetessa statunitense. Ha vinto il National Book Award e il Premio Pulitzer. Il New York Times l'ha descritta come "di gran lunga, la poetessa di questo paese che ha venduto di più".
Da ragazza visse per un breve periodo nella casa della deceduta Edna St. Vincente Millay, dove aiutò la sorella di costei, Norma, nel riordino e nella conservazione delle carte di famiglia. Negli anni cinquanta ha frequentato sia l'Ohio State University che il Vassar College, ma senza conseguirvi diplomi. Ha abitato a Provincetown, Massachusetts, per più di quarant'anni. La sua partner, Molly Malone Cook, le ha fatto da agente letterario per tutta la vita.
Intensa e gioiosa osservatrice del mondo naturale, Mary Oliver viene spesso paragonata a Walt Whitman e Henry David Thoreau. Le sue poesie sono ricche di immagini quotidiane provenienti dalle paludi vicino a casa sua a Provincetown: pivieri, serpenti d'acqua, le fasi della luna e le megattere, sono gli elementi maggiormente rappresentati. Maxine Kumin chiama la Oliver "una pattugliatrice delle paludi" allo stesso modo in cui Thoreau era un esploratore delle "bufere di neve" e "una infaticabile guida al mondo naturale". La sua opera, infatti, rappresenta uno dei punti più elevati della poesia consacrata alla natura. Coi suoi lavori ha aperto molte strade per la presa di coscienza della crisi ambientale. Oliver usa uno stile linguistico semplice e chiaro per far condividere ai lettori il suo amore per gli altri esseri viventi. La sua casa è la "Grande Madre" terra che onora nelle sue poesie.
Oliver ha ricevuto numerosi premi per la sua opera tra i quali il Lannan Literary Award per la poesia nel 1998, il National Book Award for Poetry nel 1992 per la sua raccolta New and Selected Poems, il Premio Pulitzer per la poesia nel 1984 per la raccolta American Primitive, il Guggenheim Foundation Fellowship nel 1980, e il Shelley Memorial Award nel 1969-70) della "Poetry Society of America".

Opere
No Voyage, and Other Poems (1963, prima edizione; 1965, (edizione ampliata)
The River Styx, Ohio, and Other Poems (1972)
The Night Traveler (1978)
Twelve Moons (1978)
Sleeping in the Forest (1979)
American Primitive (1983)
Dream Work (1986)
Provincetown (1987, edizione limitata con incisioni in legno di Barnard Taylor)
House of Light (1990)
New and Selected Poems (1992)
A Poetry Handbook (1994)
White Pine: Poems and Prose Poems (1994)
Blue Pastures (1995)
West Wind: Poems and Prose Poems (1997)
Rules for the Dance: A Handbook for Writing and Reading Metrical Verse (1998)
Winter Hours: Prose, Prose Poems, and Poems (1999)
The Leaf and the Cloud (2000, poema in prosa)
What Do We Know (2002)
Owls and Other Fantasies: poems and essays (2003)
Why I Wake Early: New Poems (2004)
Blue Iris: Poems and Essays (2004)
Long Life: Essays and Other Writings (2004)
New and Selected Poems, volume two (2005)
At Blackwater Pond: Mary Oliver Reads Mary Oliver (2006, audio cd)
Thirst: Poems (2006)
Our World (2007) con fotografie realizzate da Molly Malone Cook


Le oche selvatiche

Non devi essere buono.
Non devi camminare sulle ginocchia
Per centinaia di miglia nel deserto, pentendoti.
Devi solo lasciare che il delicato animale del tuo corpo
ami ciò che ama.
Parlami della disperazione, la tua, e io di parlerò della mia.
Intanto il mondo va avanti.
Intanto il sole e i luminosi sassolini della pioggia
Si stanno spostando attraverso il paesaggio,
sopra le praterie e gli alberi profondi,
le montagne e i fiumi.
Intanto le oche selvatiche, alte nella pulita aria blu,
si stanno ancora dirigendo verso casa .
Chiunque tu sia, non importa quanto tu sia solo,
il mondo si offre alla tua immaginazione,
ti chiama come le oche selvatiche, dure ed eccitanti
annunciando ripetutamente il tuo posto
nella famiglia delle cose.

 

Giorno d’estate

Chi ha fatto il mondo?
Chi ha fatto il cigno e l’orso bruno?
Chi ha fatto la cavalletta?
Questa cavalletta, intendo, quella che è saltata fuori dall’erba,
che sta mangiandomi lo zucchero in mano,
che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù
e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati.
Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura.
Ora apre le ali di scatto e vola via.
Non so esattamente che cosa sia una preghiera;
so prestare attenzione, so cadere nell’erba,
inginocchiarmi nell’erba,
so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati,
è quel che oggi ho fatto tutto il giorno.
Dimmi, che altro avrei dovuto fare?
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Dimmi, che cosa pensi di fare
della tua unica vita, selvaggia e preziosa?

 

Dichiara pace

Dichiara pace al tuo respiro.
Inspira uomini d’arme e attrito, espira edifici interi e stormi di merli dalle ali rosse.
Inspira terroristi ed espira bambini che dormono e campi appena falciati.
Inspira confusione ed espira alberi di acero.
Inspira quanto è caduto ed espira amicizie di tutta una vita ancora intatte.
Dichiara pace con il tuo ascolto: quando senti sirene, prega ad alta voce.
Ricorda quali sono i tuoi strumenti: semi di fiori, spilli da vestiti, fiumi puliti.
Prepara una minestra.
Fai musica, impara come si dice grazie in tre lingue diverse.
Impara a fare la maglia, e fai un cappello.
Pensa al caos come mirtilli che danzano, immagina il dolore come l’espirazione della bellezza o il gesto del pesce.
Nuota per andare dall’altra parte.
Dichiara pace.
Il mondo non è mai apparso così nuovo e prezioso.
Bevi una tazza di tè e rallegrati.
Agisci come se l’armistizio fosse già arrivato.
Non aspettare un altro minuto.

Dichiara pace.

* Le poesie sono tratte dal sito “Sentimenti e passioni“, articolo di Manuela Valletti Ghezzi,  martedì 31 marzo, 2015.


giovedì 10 luglio 2025

ORBICCIANI Bonagiunta (1220 circa - 1290 circa)

 

Bonagiunta Orbicciani, chiamato anche Urbicciani, Urbiciani, Bonaggiunta degli Orbicciani, Bonagiunta da Lucca (in latino Bonagiunta Lucensis; Lucca, 1220 circa – 1290 circa), è stato un poeta italiano, esponente della scuola toscana.
Esercitò forse la professione di notaio e come poeta fu attivo nella seconda metà del XIII secolo, ispirandosi più direttamente ai modi della poesia "siciliana", mediando la sua influenza nell'ambiente toscano. Fu tra coloro che più efficacemente importarono in Toscana le forme poetiche provenzaleggianti della scuola siciliana e soprattutto quella di Jacopo da Lentini.
Come scrive Carlo Salinari: «[…] La sua importanza è tutta in questa attività di mediazione culturale, che verso la metà del secolo sposta l'asse della nostra poesia dalla corte imperiale di Palermo all'Italia centrale e pone in tal modo - sia pure inconsapevolmente - le premesse per il "dolce stil novo".»
Si può dire che egli sia rimasto più noto, nella letteratura italiana, come personaggio del Purgatorio dantesco che per la sua opera poetica: la lettura tradizionale dell'episodio del canto XXIV è che Dante, per far meglio risaltare la novità del Dolce stil novo, abbia per contrapposizione citato un rappresentante di un genere poetico precedente. Le parole "dolce stil novo" Dante le mette opportunamente sulle labbra di Bonagiunta.
Merito indubbio di Gianfranco Contini, nella splendida edizione ricciardiana del 1960, è invece di aver rivalutato la figura di Bonagiunta, mostrandolo come un protagonista delle tenzoni, le gare poetiche che coinvolgevano tutti i dotti dell'epoca.
Significative tre tenzoni:
- contro Guido Guinizelli con il sonetto Voi ch’avete mutata la maniera, in cui sembra rimproverargli di avere cambiato lo stile delle liriche amorose introducendo un eccessivo intellettualismo e troppi riferimenti filosofici, rendendo la parola poetica oscura e di difficile comprensione ("sottigliansa", cioè speculazione filosofica). A Bonaggiunta risponderà il poeta bolognese con il sonetto Omo ch’è saggio non corre leggero;
- contro un anonimo (si è tentato di riconoscere in questi Monte Andrea oppure Guittone d'Arezzo) che in un dotto sonetto cita raffinati poeti provenzali: Peire Vidal e Osmondo (forse da Verona); la risposta di Bonagiunta è di estremo virtuosismo tecnico: giocato con rime equivoche (figura retorica che consiste nel ripetere lo stesso termine in sede di rima) e rime interne;
- contro un giudice, Messer Gonella, cui risponde Bonodico notaio di Lucca, un sonetto di Bonagiunta e un'ulteriore replica di Messer Gonella e, infine, un ulteriore sonetto di controreplica di Bonagiunta.
Inteso in questo senso di scontro poetico, la scelta di Dante di eleggerlo ad antagonista della poetica propria e di quella della sua scuola non ha un significato riduttivo, ma di riconoscimento del valore dialettico del poeta lucchese.
La produzione superstite di Bonagiunta conta 37 componimenti: 18 sonetti certi e uno attribuito, 11 canzoni, 2 discordi, 5 ballate.
L'ultima edizione critica commentata delle Rime di Bonagiunta Orbicciani da Lucca, è stata pubblicata da Aldo Menichetti, nel 2012, per le Edizioni del Galluzzo di Firenze.


III
Se il poeta è rimeritato del suo affetto,
sarà il più felice tra gli amanti.

S’eo sono innamorato e duro pene
secondo che m’avene — sia meritato.
Se meritato son per bene amare
o per servir l’amore interamente,
infra gli amanti già non avrò pare
d’aver gio* con disio interamente,
ch’eo sono messo tutto in voler fare
ciò che pertene a signor bon servente;
und’eo spero non essere obliato.
Se m’obliaste già non fora degno
voi, cui tant’amo e cui servo m’apello;
che serviragio voi el cor ve pegno:
partir non pò da voi, tanto gli è bello.
E tanto li agradisce il vostro regno
che mai da voi partire non de’ elio,
non fosse da la morte a voi furato.
Gioia aspetto da voi e voi la chiero;
merzé, or non vi piaccia mia finita,
ch’eo fui, sono e sempre d’esser spero
vostro servente tanto ch’avrò vita.
E se tardate più, saciate eo pero,
tant’ho nel core affanno, pena e vita:
non pò, se no da voi, esser sanato.


BALLATE
I
Non si vantino le proprie virtù.
Dio disperda chi male amministra la giustizia.

Molto si fa biasmare
chi loda lo su’ afare
e poi torn’al niente.
E molto più disvia
e cade in gran falenza
chi usa pur folia
e non ha canoscenza:
qual om ha più balia
più de’ aver soferenza
per piacer a la gente.
Molti son che no sanno
ben dir, né operare:
sed han buon prescio un anno,
non è da curuciare;
che tutto torna a danno.
Falso prescio durare
non pora lungamente.
Qual om è laldatore
de lo su’ fatto stesse
non ha ben gran valore
né ben ferme prodesse;
ma l’uom, ch’è di buon cuore,
tace le su’ arditesse
ed ède più piacente.
Valor no sta celato,
né prescio, né prodessa,
né omo inamorato,
né ben grand’alegressa:
come ’l fochio lumato,quando la fiam’ha messa,
si mossa grandemente.
Strugga Dio li noiosi,
falsi iscanoscienti,
che viven odiosi
di que’ che son piacenti;
dinanzi so’ amorosi,
dirieto son pungenti,
com’aspido serpente.
Sieden su per li banchi
facendo lor consiglio:
dei driti fanno manchi,
del nero bianco giglio,
e nonde sono istanchi;
und’e’ mi meraviglio
come Dio lo consente.
Balata, in cortesia,
ad onta de’ noiosi,
saluta tuttavia,
conforta li amorosi:
e di’ lor ch’ancor fia
li lor bon cor gioiosi
seranno tostamente.


VIII
Lodi dell'amore: prega madonna che lo voglia amare.

Uno giorno aventuroso,
pensando in la mia mente
com’amor m’avea inalzato,
i’ stava com’om dottoso,
da che meritatamente
non serve a chi l’ha onorato.
Però volsi cantare
lo certo affinamento,
perché l’amor più flore
e luce e sta ’n vigore
di tutto piacimento,
gioia tene in talento
e fa ogn’atro presio sormontare.
Montasi ogne stasione,
però fronde e fiore e frutta,
l’afinata gioi’ d’amore;
per questa sola rasione
a lui è data e condutta
ogne cosa, e’ ha sentore:
si come par, li auselli
chiaman sua signoria
tra lor divisamente
tanto pietosamente,
e l’amorosa via
commenda tuttavia
perché comune volse usar con elli.
Donqua, la comune usanza
ha l’amor così agradito,
che da tutti ’l fa laudare.
Gentil donna, pietanza
inver’me, che so’ ismarito
e tempesto più che mare.
Non guardate in me, fina;
ch’eo vi son servidore:
tragete simiglianza
da l’amorosa usanza,
che da piciolo onore
ingrandisce talore,
e ’l ben possente a la stasion dichina.


REBORA Clemente (1885 - 1957)

 


Clemente Luigi Antonio Rèbora (Milano, 6 gennaio 1885 – Stresa, 1º novembre 1957) è stato un presbitero e poeta italiano.
Fu insegnante di lettere e collaborò a diverse riviste, tra cui La Voce. Le sue prime poesie rivelavano un profondo interesse per problematiche morali, portandolo a una crisi spirituale. Ordinato sacerdote nel 1936, continuò a scrivere poesie che riflettono il suo costante colloquio con Dio. Fu anche traduttore di autori russi tra cui Tolstoj e Gogol'.
Quinto dei sette figli del garibaldino Enrico Rebora, di origini liguri, e di Teresa Rinaldi, inizia nel 1903 gli studi di Medicina a Pavia, interrompendoli però poco dopo per seguire i corsi universitari di lettere presso l'Accademia Scientifico-letteraria di Milano; nel frattempo si avvicina alla musica.
Nel 1907 Rebora presta il servizio militare a Milano e nel 1910 si laurea in lettere con percorso storico-contemporaneo, discutendo una tesi sul pensiero di Gian Domenico Romagnosi dal titolo "Gian Domenico Romagnosi nel pensiero del Risorgimento". Il relatore era il professore Gioacchino Volpe.
Negli anni dieci in cui il giovane Rebora si sente "professoruccio filantropo" insegna in diversi Istituti tecnici e alle scuole serali (prima a Milano poi a Treviglio, a Novara - prima della chiamata in guerra - e a Como) e collabora a La Voce, alla Rivista d'Italia e a Diana.
Nel 1913 vengono pubblicati i Frammenti lirici presso le edizioni de La Voce dirette da Giuseppe Prezzolini con la dedica «ai primi dieci anni del secolo ventesimo» e collabora alla Riviera ligure e altre riviste letterarie.
Nel 1914 conosce Lydia Natus, pianista russa, e vive con lei a Milano (in via Tadino 3) fino a quando la loro relazione si interrompe, dopo la guerra. Allo scoppio della prima guerra mondiale, viene richiamato alle armi con il grado di sottotenente nel 72º reggimento di fanteria e in dicembre dello stesso anno combatte sul Podgora. Subisce un forte trauma cranico a causa di un'esplosione e rimane in stato di shock. Viene ricoverato e tra il 1916 e il 1919 passa da un ospedale militare all'altro finché, nel 1919, viene riformato con la diagnosi di infermità mentale.
Questo non gli impedisce di continuare il lavoro d'insegnante e di portare avanti varie attività. Tra il 1919 e il 1928 insegna in vari istituti privati, dirige la collezione "Maestri di Vita" per l'editore Paravia e tiene numerose conferenze. Nel 1922 pubblica i Canti anonimi raccolti da C. Rebora nelle edizioni Il Convegno di Milano.
Nel 1928, durante una conferenza al Lyceum milanese sulle discipline religiose, mentre legge gli Acta Martyrum, ha una crisi religiosa che lo avvicinerà alla fede cattolica. Nel 1929, infatti, prende i sacramenti e nel 1930, dopo aver distrutto tutti i libri e le carte, entra come novizio nel Collegio Rosmini. Rimane come novizio per tre anni all'Istituto della Carità al Monte Calvario di Domodossola e per due anni è aiuto infermiere.
Entrato nell'Istituto della carità, pronuncia i voti perpetui nel 1936 e viene ordinato sacerdote a Domodossola, dove celebra la sua prima Santa Messa. Negli anni successivi esercita varie funzioni negli istituti rosminiani di Domodossola, Torino, Rovereto e Stresa. Continua a scrivere poesie a carattere religioso che vennero pubblicate in gran parte postume.
A Stresa, a causa di una grave e dolorosa infermità, è costretto a rimanere immobile a letto e il 1º novembre del 1957 lo coglie la morte. Il suo corpo è oggi inumato in un sarcofago presso il Santuario SS. Sacramento a Stresa.
La formazione familiare di Rebora avvenne nei valori della tradizione laica del Risorgimento e legata allo spirito dell'umanesimo mazziniano come voleva il padre, garibaldino a Mentana nel 1867.
Il padre, massone, era un ardente ammiratore di Carlo Cattaneo e dello storico Edgar Quinet, di cui tradusse l'Esprit nouveau, e fu amico del repubblicano Arcangelo Ghisleri. La madre, di Codogno, pur dovendo allevare ben sette figli, fu geniale scrittrice di versi che rivelano una felice e spontanea vena poetica.
Oltre all'educazione lombarda a fondo moralistico progressista, lo spirito gagliardo della fede garibaldina e mazziniana diede senza dubbio a Rebora una buona base di partenza, ma quello stesso spirito eccessivamente liberale e razionalista, unito all'assenza di una formazione religiosa confessionale, contribuirono ad aggravare lo stato di disagio del suo animo, sempre alla ricerca di una disciplina spirituale più idealistica.
Tutta l'opera di Rebora sarà segnata da un tesissimo sforzo per liberarsi dalla problematica eredità spirituale paterna, che condizionò la sua vita e la sua poesia. Il fratello Piero parla infatti di due sentimenti profondi che gli derivarono dall'educazione familiare: l'attaccamento alla patria italiana e l'amore per gli umili, sentimenti che si ritroveranno in tutte le sue opere.
Si possono distinguere, nella sua formazione, tre fasi di vita che poi corrispondono alla variazione della sua opera poetica: una prima fase esistenzialistica-letteraria, una seconda fase che si può definire umanitario-sincretistica dal carattere filosofico-religioso, una terza fase decisamente cattolica.
Dall'epistolario e dalla testimonianza degli amici si delinea la figura di un giovane dai saldi principi morali, fortemente impegnato sul piano intellettuale, che credeva nell'amicizia e nella solidarietà del gruppo, schivo dei successi professionali e mondani.
La sua prima crisi, che lo portò a tentare il suicidio e gli fece comprendere di dover rompere con il sistema di pensiero e di valori ereditati dal padre, avvenne mentre stava redigendo la tesi di laurea.
Non ebbe grandi contatti con l'ambiente fiorentino della rivista La Voce, a parte il rapporto personale con Prezzolini; costante invece fu l'amicizia con Giovanni Boine dal 1909 alla morte dello scrittore ligure.

Poesia
I Frammenti lirici, Libreria della "Voce", Firenze 1913; nuova edizione commentata, a cura di Gianni Mussini e Matteo Giancotti, Interlinea, Novara 2008
Canti anonimi raccolti da C.R., Il Convegno editoriale, Milano 1922
Le poesie 1913-1947, a cura di P. Rebora, Vallecchi, Firenze 1947
Via Crucis Scheiwiller, Milano 1955
Curriculum vitae, Scheiwiller, Milano 1955; nuova edizione commentata, a cura di Roberto Cicala e Gianni Mussini, Interlinea, 2001
Canti dell'infermità, Scheiwiller, Milano 1956 (ristampa brani già usciti in plaquettes o su rivista; ed. accresciuta, Scheiwiller, Milano 1957)
Gesù il fedele. Il Natale, Scheiwiller, Milano 1956
Iconografia (poesie e prose inedite) a cura di V. Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1959
Aspirazioni e preghiere, Scheiwiller, Milano 1963
Ecco del cielo più grande, Scheiwiller, Milano 1965
Le poesie (1913-1957), Garzanti, Milano 1961 (nuova ed. accresciuta, Scheiwiller, Milano 1994)
Il tuo Natale, Interlinea, Novara 2005.
Tra melma e sangue. Lettere e poesie di guerra, Interlinea, Novara 2008.
Passione e poesia. Lettere (1954-1657), a cura di Gianni Mussini, Interlinea, Novara 2012
Il tuo Natale di fuoco. Poesie. lettere, pagine di diario, postille e inediti, a cura di Roberto Cicala, Valerio Rossi, Interlinea, Novara 2016


Tempo

Apro finestre e porte –
Ma nulla non esce,
Non entra nessuno:
Inerte dentro,
Fuori l’aria è la pioggia.
Gocciole da un filo teso
Cadono tutte, a una scossa.
Apro l’anima e gli occhi –
Ma sguardo non esce,
Non entra pensiero:
Inerte dentro,
Fuori la vita è la morte.
Lacrime da un nervo teso
Cadono tutte, a una scossa.
Quello che fu non è più,
Ciò che verrà se n’andrà,
Ma non esce non entra
Sempre teso il presente –
Gocciole lacrime
A una scossa del tempo.


La speranza

Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra.
Speravo nel tempo, ma passa, trapassa;
In cosa creata: non basta, e ci lascia.
Speravo nel ben che verrà, sulla terra:
Ma tutto finisce, travolto, in ambascia.
Ho peccato, ho sofferto, cercato, ascoltato
La Voce d’Amore che chiama e non langue:
Ed ecco la certa speranza: la Croce.
Ho trovato Chi prima mi ha amato
E mi ama e mi lava, nel Sangue che è fuoco,
Gesù, l’Ognibene, l’Amore infinito,
L’Amore che dona l’Amore,
L’Amore che vive ben dentro nel cuore.
Amore di Cristo che già qui nel mondo
Comincia ed insegna il viver più buono:
Felice amore di Spirito Santo
Che trasfigura in grazia e morte e pianto,
D’anima e corpo la miseria buia:
Eterna Trinità, dove alfin belli
– Finendo il mondo – saran corpi e cuori
In seno al Padre con la dolce Madre
Per sempre in Cristo amandosi fratelli, Alleluia.


Il pioppo

Vibra nel vento con tutte le sue foglie
il pioppo severo;
spasima l’aria in tutte le sue doglie
nell’ansia del pensiero:
dal tronco in rami per fronde si esprime
tutte al ciel tese con raccolte cime:
fermo rimane il tronco del mistero,
e il tronco s’inabissa ov’è più vero.

BARILE Angelo (1888 - 1967)



Angelo Barile (Albissola Marina, 12 giugno 1888 – Albisola Capo, 20 maggio 1967) è stato un poeta italiano. Nato ad Albissola Marina in provincia di Savona, Angelo Barile compie i suoi studi a Genova, dove consegue la laurea in giurisprudenza. A Torino segue un corso di filologia moderna e si occupa di studi letterari. È di questo periodo un suo importante saggio giovanile sul sentimento cosmico nella lirica del Pascoli, alquanto controcorrente rispetto ai noti canoni crociani riproposti da Emilio Cecchi.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale 1915-18, viene richiamato alle armi come sottotenente di fanteria e due volte ferito. Anche nel suo caso come in quelli di altri poeti-soldati - a cominciare da Giuseppe Ungaretti e con ben altri esiti poetici - la drammatica esperienza della guerra non poteva non trasferirsi anche nell'ambito lirico. Tuttavia Barile è per sua natura schivo e tutt'altro che prolifico, come egli stesso ammette con modestia in Ritratti su misura: «Neppure in gioventù furono molti i miei versi, che io ebbi la buona ventura di non pubblicare.»
Nel periodo della dittatura fascista Barile vive in disparte e si occupa attivamente dell'azienda familiare di ceramiche e maioliche artistiche. Nel 1943 viene catturato dai tedeschi e imprigionato con la facile accusa di antifascismo. Dopo la liberazione del Paese, ricopre qualche carica pubblica (negli anni Cinquanta è presidente della Provincia di Savona), e soprattutto prosegue la propria attività letteraria collaborando a vari periodici come La Fiera letteraria, Letteratura, Persona, sia pure in modo saltuario.
Le lettere fra Barile e l'amico scrittore genovese Gherardo del Colle, scritte tra il 1940 e il 1966, offrono uno spaccato di vita, dei comportamenti e dei sentimenti durante un periodo cruciale per l'Italia, segnato dalla guerra e dalla rinascita economica. Barile, politico e amministratore, e Gherardo, frate cappuccino, osservano e partecipano attivamente ai cambiamenti sociali, cercando al contempo le ragioni della loro poesia.
Muore nella sua terra amata, il 20 maggio 1967.
La poetica di Barile è fortemente influenzata dalla sua fede cattolica e quindi dalla sua visione profondamente religiosa della vita. Questo lo porta a scrivere con toni pacati, testimoniati dal titolo di una delle più importanti raccolte Quasi Sereno, in cui anche il dolore e la solitudine sono una necessaria preparazione per un aldilà felice ed eterno. Gli scenari spesso derivano dal suo aver vissuto in un paesino di mare: nella poesia Osteria della Bella Brezza, in cui il poeta ricorda il padre defunto, lo sfondo è un borgo di pescatori, semplici e molto legati alla vita comune del villaggio e alla sua routine segnata dalle campane della chiesa.
Non a caso, la memoria della morte e l'evocazione del mare sono stati segnalati dai critici come «due motivi particolarmente cari alla ispirazione di Barile. (...) Amore che resiste oltre la morte, morte illuminata e redenta nell'amore.» Una buona sintesi della sua poetica è quella proposta in poche righe da Giacinto Spagnoletti, il quale riscontra nelle sue liriche «la chiara onestà di una voce. E un tratto più comunicativo (...) in una poesia non cifrata (...)», in una sorta di «equilibrio di resistenze».
Nel complesso, la critica è abbastanza concorde nel definire l'esile ma significativa opera poetica di Angelo Barile come «una vena esigua ma limpida, luminosa.»

Opere
Il sentimento cosmico di Giovanni Pascoli (saggio), Genova, L'Arengo, 1913.
Primasera (liriche), Genova, Edizioni Circoli, 1933.
Musiche e sorrisi nella poesia di Gabriello Chiabrera (saggio, in collaborazione con I. Scovazzi), Genova, Edizioni Liguria, 1952.
Quasi sereno (liriche), Venezia, Edizioni Neri Pozza, 1957 (premio di poesia "Cittadella").
Poesie, Milano, Scheiwiller, 1965.
Al paese dei vasai - Santi, artisti, scrittori, paesi di Liguria, Savona, Sabatelli editore, 1970.
In memoria... (monografia), Savona, Sabatelli editore, 1977.
Primasera, in appendice uno scritto di Raffaello Ramat del 1934, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2003.



Uscire dalla vita come quando

Uscire dalla vita come quando
s’esce di chiesa
in un finale d’organo: s’avventa
l’anima a scale prodigiose, trova
il piede sulla soglia
un bianco che vi palpita: e la luce
è nuova.
 
Ma uscire non è dato in rapimento.
Ch’io possa almeno
lasciarmi dietro la mia stanza, un poco
volgendo il capo a riguardarla, alfine
pulita, sgombra
d’ogni discordia, in ordine sereno
come la chiesa ora vuota: le croci
fanno una chiara ombra
sul pavimento.

 Fuori tempo
        In questi giorni di chiaro gennaio
        che si disfanno i presepi, s'affioca
        la pastorale
        anche quest'anno nell'ansa del colle
        il mio albero schiude le corolle
        inaspettate.
 
        Nella tepida tregua
        uno spolvero fai di primavera,
        albero illuso. Presto
        sopravverra' un altro chiaro, di gelo,
        ti spegnera' la frettolosa luce:
        si prende il vento il tuo fiore gia' morto.
 
        A giusto sole, insieme,
        i tuoi compagni accenderanno la festa,
        tu senza voce nel giulivo coro.
        Oh, diverso. Ti preme
        a una vigilia acerba
        il canto fuori tempo del tuo ramo.
 
        Precocita' fa triste
        il tuo fiore, pericolante riso.
        Per cio' mi piaci, animoso cielo.
        Cielo tu stesso, baleno al mio inverno:
        attimo della grazia. Nel sereno
        sei cosi' breve e fai con la tua fronda
        un orizzonte.
                        (Da: "Quasi sereno")


 LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE

Nel fresco giorno ha calcato
sì poca terra il tuo piede scalzo!
Hai fatto questi due passi
fra l’orlo del mare e la piana
soglia iridata di salso
della tua casa a terreno.


Eri sul lembo del suolo
che il grande azzurro frantuma.
Da questa ruga di spuma
vacillavi già in braccio al sereno
come sull’uscio del mondo.

Oh, sulla nostra marina
il tuo soggiorno fu mite
e sottovoce, fanciulla
ammainata come una vela
nel bianco dei tuoi pensieri.
Ora canti sull’altra tua riva.
Noi tristi che non ti vedremo
più cucire le bionde reti,
riempir di guizzo i panieri,
i suoi occhi di calmo celeste.
Ora tuo padre ha dipinto
le sue barche di un filo di lutto,
gli tremi viva nel flutto
battuto dal lacrimante remo.



#stranieri / BOBROWSKI Johannes (1917 - 1965)

  Johannes Bobrowski (Tilsit, 9 aprile 1917 – Berlino Est, 2 settembre 1965) è stato uno scrittore e poeta tedesco. Nacque nell'odierna ...