sabato 2 agosto 2025

VOLPONI Paolo (1924 - 1994)


Paolo Volponi (Urbino, 6 febbraio 1924 – Ancona, 23 agosto 1994) è stato uno scrittore, poeta e politico italiano, senatore della Repubblica Italiana nel corso di due legislature. Nacque a Urbino nel 1924 da Teresa Filippini ed Arturo Volponi; il padre era proprietario di una piccola fornace per laterizi, la madre proveniva da una famiglia di piccoli possidenti agricoli. Frequentò negli anni Quaranta il Liceo Classico Raffaello Sanzio e nel 1943 si iscrisse a Giurisprudenza nella nascente Libera Università di Urbino, dove nel 1947 ottenne la laurea, dopo una breve esperienza partigiana sugli Appennini. Determinante per la sua carriera è stato l'incontro, avvenuto nel 1950, grazie al critico Franco Fortini, con l'imprenditore Adriano Olivetti, che con la sua visione sociale e solidaristica dello sviluppo industriale lo convinse a farsi assumere presso un ente di assistenza sociale, per il quale compì inchieste sull'evoluzione economica del Sud, lavorando a Roma a partire dal 1953.
Nel 1956 entrò alla Olivetti di Ivrea, prima come collaboratore e poi come direttore dei servizi sociali, e dal 1966 al 1971 tenne la direzione dell'intero settore delle relazioni aziendali. Successivamente si trasferì a Torino, dove dal 1972 avviò una consulenza con la Fiat per i rapporti tra fabbrica e città in un momento particolarmente difficile per la vita nella provincia torinese.
Nel 1975 divenne direttore della Fondazione Agnelli, ma fu costretto a lasciare tale incarico per la sua adesione al Partito Comunista Italiano, sgradita ai vertici della Fiat. Dopo essere stato assistente della società Finarte a Milano aderì da indipendente al PCI, per il quale divenne senatore nel 1983. Divenne anche presidente della Cooperativa soci dell'Unità, promuovendo con il giornale una fitta rete di iniziative, fra cui un convegno nazionale su Pier Paolo Pasolini, a Bologna, nel 1987. Da questa esperienza nacque l'associazione Casa dei pensieri, in seguito diretta da Davide Ferrari.
Il 3 settembre 1989, il figlio Roberto rimase vittima nel disastro aereo del Volo Cubana T1281, avvenuto a L'Avana.
Di fronte alla crisi della sinistra degli anni ottanta Volponi si oppose alla dissoluzione del PCI e nel 1991, al momento della nascita del Partito Democratico della Sinistra, aderì al nuovo gruppo di Rifondazione Comunista, che a suo avviso "manteneva viva la speranza di un mondo più giusto e più razionale". Eletto deputato nazionale alle elezioni politiche del 1992 con 4.486 voti nella circoscrizione Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno, rimase in carica fino allo scioglimento anticipato della legislatura nella primavera del 1994. Morì pochi mesi dopo all'ospedale regionale di Ancona a causa di una malattia ai reni, all'età di 70 anni. È sepolto nel cimitero di San Cipriano a Urbino.
L'attività letteraria di Volponi prese avvio nel 1948, anno della pubblicazione de Il ramarro, raccolta di poesie sospese tra tardo ermetismo e neorealismo. Le opere successive furono L'antica moneta del 1955; Le porte dell'Appennino del 1960, per il quale ottenne il premio Viareggio per la poesia, e Foglia mortale, stampata in edizione ridotta nel 1974.
L'opera narrativa invece iniziò nel 1962 con il Memoriale, incentrato sulla contrapposizione operai-imprenditori negli anni sessanta. Dopo il tentativo, abbandonato dallo stesso autore, di creare un "romanzo di formazione" (che si sarebbe dovuto intitolare Repubblica borghese), Volponi scrisse nel 1965 il romanzo La macchina mondiale, con cui vinse il premio Strega: basato sulla storia di un proprietario terriero costretto a comparire in tribunale perché accusato di violenza domestica dalla moglie, con esso l'autore si pone degli interrogativi che assillano l'uomo da sempre e li svolge cercando delle risposte che non siano sempre le stesse, e soprattutto che siano prive esse stesse dal generare ulteriori dubbi; vi è contenuta una concezione deistica dell'universo, in cui l'uomo è osservato nel suo muoversi e agitarsi verso la meta dai medesimi che si sono divertiti a crearlo, non si sa con quanto piacere o con quanto sarcasmo, allo stesso modo che un uomo guarda, compiaciuto ed ironico a un tempo, alla fatica che le numerose formiche sopportano per dare un senso alla loro vita.
Dopo Corporale (1974), ampio romanzo in cui il protagonista (l'intellettuale Gerolamo Aspri) dopo brutte esperienze in fabbrica ed in città parte alla conquista della realtà, Volponi tentò varie strade letterarie, frutto di sperimentazioni in gran parte davvero vissute.
Con Le mosche del capitale (1989), narra la vita di un manager democratico ed aperto, il professor Bruto Saraccini, la cui genialità viene schiacciata in azienda dalle cieche logiche di potere e di guadagno. Il titolo di quest'opera allude ai dirigenti industriali di alto livello che, con apparente leggerezza ma con profonda volgarità, rifiutano i sentimenti e la democrazia in nome del Dio denaro. Parzialmente autobiografico, infine, è il romanzo con il quale Volponi vinse per la seconda volta il premio Strega (unico autore a riuscirci fino al 2020, quando l'impresa viene ripetuta da Sandro Veronesi), La strada per Roma (1991).
L'opera e la vita di Paolo Volponi testimoniano il suo personale rapporto con la realtà contemporanea, con i suoi aspetti essenziali e determinanti: la letteratura è per lui un modo per investire il mondo con una soggettività risentita ed appassionata[non chiaro], per dichiarare l'esigenza di una razionalità capace di affermare le più integrali possibilità dell'uomo e di mirare ad una libera espansione delle sue facoltà corporee e mentali, a uso positivo del lavoro, della scienza e della tecnica.
L'adesione all'umanesimo, effettuata dal Volponi durante la sua giovinezza ad Urbino, non venne mai meno nella sua produzione letteraria, e venne affiancata nella maturità da un forte impegno politico a sinistra, con una disponibile attenzione alle forme della modernità.
Convinto della possibilità che la società industriale ha di evolversi in modo democratico, soprattutto durante gli anni della maturità egli vide nel comunismo il mezzo ideologico che le grandi e povere masse di uomini sfruttati dall'industria hanno per liberarsi dal giogo del capitalismo: ciò nonostante, egli considerò positiva l'industrializzazione (ovvero il "boom economico") che l'Italia stava attraversando negli anni cinquanta e sessanta, entrando per questo soventemente in polemica con Pier Paolo Pasolini, di parere opposto.
Volponi vide con lucidità gli elementi negativi che aleggiavano in Italia durante la sua maturità: l'onnipotenza delle telecomunicazioni, l'intreccio di trame e poteri occulti, lo strapotere dell'industria nei confronti della terra e della città nei confronti della campagna lo scossero profondamente, ed egli reagì a questi fenomeni auspicando la formazione di un mondo giusto ed abitabile e cercando di resistere al degrado morale e culturale del paese, senza però rinnegare la sua storia né le secolari memorie della nazione.
Le due grandi direttrici della narrativa volponiana, la storia della modernizzazione capitalista e l'utopia del suo impossibile rovesciamento, orientano già i primi tre romanzi editi, e ad esse corrispondono analoghe procedure sul piano della scrittura, in bilico tra realismo e lirismo, tra peso saggistico e levità poetica.

Opere di Poesia

Il ramarro, Urbino, Istituto D'arte, 1948.
L'antica moneta, Firenze, Vallecchi, 1955.
Le porte dell'Appennino, Milano, Feltrinelli, 1960.
La nuova pesa, Milano, Il Saggiatore, 1964.
Le mura di Urbino, Urbino, Istituto statale d'arte, 1973.
La vita, Pesaro, La Pergola, 1974.
Foglia mortale, Ancona, Bucciarelli, 1974.
Con testo a fronte. Poesie e poemetti, Torino, Einaudi, 1986.
Nel silenzio campale, Lecce, Manni, 1990.
È per un'impudente vanteria, in AA.VV., Mozione dei poeti comunisti, Lecce, Manni, 1991.


Domani è già marzo

Domani è già marzo e la strada
scopre tra i frutteti il petto della contrada.
A marzo il contadino
riordina gli attrezzi e libera i confini.
A marzo i contadini
scendono verso i paesi;
si fermano nelle piazze mercatali
davanti alle osterie, ai forni, ai falegnami
che odorano sotto i portali di pietra fiorita,
davanti ai negozi di ferramenta,
davanti a tutti gli spacci
con un sentore d’acqua muffita.

I vecchi si fermano alle porte;
i giovani salgono le vie cittadine.
Ormai li mischia aprile,
mese senza paura,
e salgono insieme i mezzadri e i garzoni,
i mietitori, i braccianti, i legnaioli,
i muratori di campagna, gli innestatori,
gli scavatori di pozzi e di vigna,
i cercatori d’acqua e i cacciatori.
Il giorno nella città non ha paura,
stretto tra le mura è sempre luminoso,
e sempre vive di qualche cosa, ora per ora;
preso alla mattina presto nei mercati,
nella profonda luce che rispecchiano
le facciate nobiliari o i porticati;
guidato per le vie al suono del selciati
sino ai vertici gentili dei rioni;
alzato a mezzogiorno in fronte alle chiese
su tutte le piazze, una sopra l’altra,
di mattone o di pietra,
non è vinto dalla foglia incerta,
non morto nella morte degli insetti;
non arato, seminato, sarchiato,
faticato ora per ora,
dalla mattina alla sera.
Il giorno gira nella città il suo dolce sole,
muove il ventaglio alto delle nubi,
e chiama dal mare l’amorosa luce serale
che si stende su tutte le terrazze,
sui giardini pensili, sull’arcate
dalle quali soffia l’Appennino.

Si congiunge alla notte per le strade,
quando vicino s’odono risate di ragazze
verso i torrioni e voci da tutti i portoni.

L’amor di sé

L’alba ancora non lascia
l’ultima onda notturna;
ancora trattiene l’ambascia
di persistere sola, recisa
ogni corda l’aria stessa, la fascia
del proprio lucore indivisa
dalla tela nera che s’accascia
non dietro, ma sotto tra l’intrisa
minuta rena della sua diaccia
incerta orma, alterna, lisa
dalla sua labile irriverente traccia.
La direzione è opposta
al verso del piede che frena
e dello sguardo che accosta
trepido la prima spalla terrena
libera, non tesa una mano opposta
per indicare una scena
seppure piccola, appena opposta
alla nera matassa, alla vulva oscena
della notte, incinta, non deposta…
Ma spinta di fronte alla vista di sé
pallida stenderà la colpa
lucente alta sopra la testa
e si scioglierà in vapore dentro
l’imprendibile sabbia.
Niente l’assorbe né la desta
e solo l’onda notturna
più larga sotto la chiglia
della luna dentro la nuova urna
le toccherà un gomito e le ciglia
ancora lucide del rimpianto:
perla della conchiglia
dell’amore di sé.


Porgimi amore

Porgimi, amore
il tuo ramo fiorito

la mente mattutina
nel cui cespo chiaro
ai venti incerti di ottobre
ripara l’allodola ferita,
l’azzurro ginepro degli altipiani
prossimi alla marina.

O la tua pietra
in bilico sul fiume,
la perduta foglia di salice
sull’acqua,
l’alga tenebrosa
dove un invisibile pesce respira.

Amore, amore,
porgimi del tuo albero
il frutto più alto
così la tua uva nascosta
e il piccolo orto
dal pettirosso fedele;

il tuo cavallino
dalla coda leggera,
la vipera che ti beve
il latte nel seno,
l’amoroso gallo
che ti sveglia
e la civetta compagna
alle tue notti di luna.

Porgimi, amore,
il tuo mutabile tempo
giovanile,
l’immobile sole
e il quarto di luna
della tua esatta stagione.



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