Mauro Macario (Santa Margherita Ligure, 21 febbraio 1947) è un regista, drammaturgo, poeta e scrittore italiano.
Nato dall'unione fra Erminio Macario e Giulia Dardanelli (1921-2015), dopo aver frequentato la Scuola d'arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano nel biennio 1963-1964 (tra i maestri Ruggero Jacobbi) e poi al termine di un apprendistato come aiuto regista con Bruno Corbucci (10 film) si è avviato alla regia cinematografica, a quella teatrale, e infine a quella televisiva curando per la Rai e per Canale 5 programmi di carattere musicale. Dal 1990 si dedica alla scrittura poetica, alla saggistica, e alla narrativa.
Come poeta tiene dei reading in numerose rassegne nazionali ed europee (Parigi, Lione, Grigny, Sète, Chambéry, Toledo), in particolare al Festival Internazionale di Poesia di Genova e al Festival internazionale della Poesia Voix Vives, a Sète nel 2014, e a Toledo nel 2019. Dal 2003 collabora con Gianluigi Cavaliere leader di Chantango, ensemble musicale italiano. Approfondisce il binomio poesia/musica. Per vent'anni ha interpretato poesie e monologhi del suo Maestro Léo Ferré al Festival di San Benedetto del Tronto, a lui dedicato.
Poesia
Le ali della jena: poema, presentazione di Leo Ferrè, Bergamo,P. Lubrina, 1990.
Crimini naturali, prefazione di Lucio Klobas, Castel Maggiore, Book, 1992.
Cantico della resa mortale, prefazione di Giuseppe Pederiali, Castel Maggiore, Book, 1994.
Silenzio a Occidente, prefazione di Francesco De Nicola, Genova, Liberodiscrivere, 2007.
La screanza, prefazione di Rodolfo Di Biasio, Genova, Liberodiscrivere, 2012.
Metà di niente, prefazione di Francesco De Nicola, Pasturana, Puntoacapo, 2014.
Le trame del disincanto: tutte le poesie 1990-2017, prefazione di Francesco De Nicola, nota critica di Emanuele Andrea Spano, Pasturana, Puntoacapo, 2017
Alphaville, prefazione di Paolo Gera, Pasturana, Puntoacapo, 2020.
L'opera nuda: poesie, prefazione di Anna Leone, intervista all'autore di Roberta Petacco, Pasturana, Puntoacapo, 2021.
Piccole infinitudini, prefazione di Viviane Ciampi, Pasturana, Puntoacapo, 2022.
Il rumore della nebbia, prefazione di Marco Ercolani, Alessandria, Puntoacapo, 2023.
AUTOPSIA D’AMORE
a mio figlio
Taccheggia lungo il corridoio
a passo d’uccello
come una cicogna cattiva
dal profilo di falce
a guardarla così è pure elegante
distaccata
altera
le mani da pianista
invece squarta
è una macellaia di Stato
seziona e ricuce
al mattatoio giudiziario
ligia al suo dovere
di operaia specializzata
alla catena di smontaggio
dove rottama le salme in esubero
senza fermare i ritmi di produzione
osserva distrattamente
– lei sì con occhi vitrei –
l’estraneo allungato sul tavolo
pronto alla mattanza
è nessuno
freddo e rigido
come un suppellettile
in una casa abbandonata
è nessuno
non appartiene alla madre
né al padre
è proprietà dello Stato
che ne fa libero scempio
e spettacolo didattico
per un loggione di matricole
ora lo gira su un fianco
poi sull’altro
sa bene il suo mestiere
la cicogna cattiva
col becco ricurvo
come un uncino da asporto
che fruga e saccheggia
un’identità sottratta al mio sangue
ad una carne condivisa nel crearsi
dunque anch’io vengo macellato
attraverso la mia progenie
il suo taglio blasfemo
lo fa uscire dal sogno
come un palloncino sfuggito di mano
e rincorso in quell’eco d’infanzia
rimasta nei tratti a mostrare la sua forza
contro la logica occidentale della morte
dove cattolici e laici si trovano d’accordo
a non rispettare il corpo inerte
profanarlo
con le sue chele smaltate
profanarlo
con asettica meticolosità
offende la sua anima terrestre
quello che ha vissuto
come ha amato
i suoi pensieri
lei offende il Tao
e se stessa
in cortocircuito
con l’armonia degli elementi
ma lo shen
non potrà farlo a pezzi
su quel bancone da pescivendola
dove lo ha eviscerato
e ripulito con la canna dell’acqua
come si fa al mercato a fine giornata
quel corpo è il corpo del mondo
adesso lasci fare a me
mi guardi
si fa così
raccolgo
non asporto
raccolgo tutta l’età
anno dopo anno
lo sguardo che aveva
la tristezza di solitudini sconosciute
il suo sopravvissuto odore di latte
le tragiche miserie che lo hanno abbattuto
il liquido lucente dei suoi occhi
e ricompongo
impari
è un’occasione per capire
un’autopsia d’amore
(Sarzana, 30 -10-2010)
LA COLLINA DEL BELVEDERE
Là
nel giardino delle delizie
dammi sepoltura clandestina
nascondendomi così
ai garages pubblici dei morti
dove la folla silenziata
mi è pur sempre estranea
come lo Stato
che ancora più della morte
a te mi sottrae
dichiarami scomparso
sui verbali del nulla
fingendoti donna tradita
e parla male di me
affinché i paggi neri
portino altrove
la deferenza di servizio
per quel sequestro di persona
ordito da un mandante intoccabile
dì loro che qui
è riserva indiana
e Santa Romana Chiesa
non entra
col suo turibolo di cancri odorosi
e la certezza che l’utopia inapparsa
debba spalancare le porte
alla lugubre processione
di impiegati mistici
venuti a umiliarmi
con la loro assoluzione
non affidare le mie spoglie
a questa gente di Transilvania
che s’appropria delle salme
per sostenere l’Opus Dei
con un macabro still-life
se c’è un Dio
è la tua mano al crepuscolo
che carezza la mia terra
come nudo fosse il corpo
e ancora tutto in fiore
tu sola
hai diritto
di trovarmi rifugio
molto più a sud
dell’eternità inventata
in onore alle etnìe selvagge
che non sbattono su un carro
i bei resti dei tempi andati
trafugarmi è sacro
se per reciproca appartenenza
legittimiamo i luoghi
del nostro immaginario
da qui al muro di cinta
scegli un angolo ombroso
dove tu possa con i gatti
sdraiarti nell’ora magica d’estate
e cura la vendemmia del glicine
lasciando filtrare nell’erba
quei rivoli viola
che mi travasano a volte
un’illusione di cielo
è bello immaginarti
in cucina verso sera
nel tuo scialle
infreddolita
lottare alla finestra
pensandomi immenso
nel mio sottomare
da non più trovarmi
neanche con le unghie
amore che non si dice
in poesia
per timore di scomunica
qui davanti al belvedere
te lo dico senza stile
e depongo anche il verso
come ora io vivessi
la vita dall’inizio
verrà un tempo
da leggenda popolare
diranno sottovoce
è la donna della casa sommersa
e quando le sterpaglie
saliranno alle finestre
leggerai nell’abbandono
la rinascita all’assenza
tu spogliati
vecchia e bellissima
e avanza in quelle onde
verso l’angolo ombroso
non temere di sparire
dentro la serra fantastica
sirena e squalo
torneranno liberi
nell’alta marea
(Mauro Macario, 1994)
Nessun commento:
Posta un commento