Mark Strand (Summerside, 11 aprile 1934 – New York, 29 novembre 2014) è stato un poeta e critico letterario canadese naturalizzato statunitense.
Nato in una famiglia ebrea a Summerside nel 1934, Mark Strand trascorse la gran parte della sua vita negli Stati Uniti. Dopo aver ottenuto la laurea triennale all'Antioch College proseguì gli studi studiando pittura sotto la supervisione di Josef Albers a Yale. Successivamente conseguì la laurea magistrale all'Università dell'Iowa nel 1962.
Tra il 1964 e il 2014 pubblicò oltre una ventina di raccolta di poesie, una dozzina di saggi e cinque volumi di traduzioni dal portoghese, lo spagnolo e l'italiano (pubblicando, tra gli altri, una traduzione inglese del IV canto dell'Inferno). All'attività poetica, Strand affiancò quella accademica e per oltre cinquant'anni insegno in prestigiosi atenei statunitensi, tra cui l'Università Columbia, l'Università di Chicago e l'Università di Princeton, oltre ad essere visiting professor a Yale ed Harvard; inoltre insegnò anche all'Università dell'Iowa e Università federale di Rio de Janeiro. Nel 1982 fu elettro membro dell'American Academy of Arts and Letters, mentre nel 1990 fu il poeta laureato degli Stati Uniti. Nel 1993 vinse il Premio Bollingen per la poesia, mentre nel 1999 vinse il Premio Pulitzer per la poesia per la raccolta Blizzard of One.
Poesia
Si intrufola dalla porta di
servizio,
di soppiatto oltrepassa la cucina,
il salotto,
l’ingresso, sale le scale ed entra
in camera. Si china
sul
mio letto e dice che è venuto
a uccidermi. Il lavoro
lo
compirà a stadi.
Prima le unghie
verranno spuntate,
poi le dita
dei piedi eccetera fino
a che nulla resti di
me.
Stacca uno strumentucolo
dal portachiavi, e attacca.
Sento
Il Lago dei Cigni dallo stereo
di un vicino e canticchio.
Quanto tempo trascorra
non so dire.
Ma quando torno in me
sento che dice che è arrivato al collo
e
non può continuare
perché è stanco. Gli dico
che ha fatto
abbastanza,
che dovrebbe rincasare, riposare.
Mi ringrazia e se
ne va.
Resto sempre sorpreso
da come si
accontenta facilmente
certa gente.
La lunga festa triste
Qualcuno diceva
qualcosa sulle ombre
che coprivano il campo, su
come le cose passano, su come ci si
addormenta verso l’alba
e il mattino se ne va.
Qualcuno diceva
di come il vento si
spegne ma poi torna,
di come le conchiglie sono le bare del
vento
ma le intemperie continuano.
Era una lunga serata
e qualcuno
diceva qualcosa sulla luna che cosparge di bianco
i campi gelidi,
e che non c’era niente da aspettarsi
se non sempre le stesse
cose.
Qualcuno parlò
di una città in cui
era stata prima della guerra, una stanza e due candele
contro la
parete, qualcuno che ballava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a
credere
che la sera non sarebbe mai
terminata.
Qualcuno diceva che la musica era finita e non se n’era
accorto nessuno.
Poi qualcuno disse qualcosa sui pianeti, sulle
stelle,
di quant’erano minuscoli, quant’erano lontani.
Il club di mezzanotte
Gli uomini di grande talento ci hanno
detto per anni che vogliono essere amati
per quello che sono, che
essi, in qualsiasi pienezza sia la loro,
nel crepuscolo sono
deperibili, proprio come noi. Così lavorano tutta notte
in stanze
fredde e intessute di luce lunare;
a volte, di giorno, si
appoggiano alle loro auto
e fissano la valle infocata, vitrea e
dorata,
ma per lo più stanno seduti, chini al buio, piedi sul
pavimento,
mani sul tavolo, le camicie con una macchia di sangue
sul cuore.
(da Tutte le poesie, Mondadori, 2019. Traduzione di Damiano Abeni con Moira Egan.)

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