domenica 9 novembre 2025

#stranieri / STRAND Mark (1934 - 2014)

 

Mark Strand
 (Summerside, 11 aprile 1934 – New York, 29 novembre 2014) è stato un poeta e critico letterario canadese naturalizzato statunitense.
Nato in una famiglia ebrea a Summerside nel 1934, Mark Strand trascorse la gran parte della sua vita negli Stati Uniti. Dopo aver ottenuto la laurea triennale all'Antioch College proseguì gli studi studiando pittura sotto la supervisione di Josef Albers a Yale. Successivamente conseguì la laurea magistrale all'Università dell'Iowa nel 1962.
Tra il 1964 e il 2014 pubblicò oltre una ventina di raccolta di poesie, una dozzina di saggi e cinque volumi di traduzioni dal portoghese, lo spagnolo e l'italiano (pubblicando, tra gli altri, una traduzione inglese del IV canto dell'Inferno). All'attività poetica, Strand affiancò quella accademica e per oltre cinquant'anni insegno in prestigiosi atenei statunitensi, tra cui l'Università Columbia, l'Università di Chicago e l'Università di Princeton, oltre ad essere visiting professor a Yale ed Harvard; inoltre insegnò anche all'Università dell'Iowa e Università federale di Rio de Janeiro. Nel 1982 fu elettro membro dell'American Academy of Arts and Letters, mentre nel 1990 fu il poeta laureato degli Stati Uniti. Nel 1993 vinse il Premio Bollingen per la poesia, mentre nel 1999 vinse il Premio Pulitzer per la poesia per la raccolta Blizzard of One.

Poesia

Si intrufola dalla porta di servizio,
di soppiatto oltrepassa la cucina,
il salotto, l’ingresso, sale le scale ed entra
in camera. Si china
sul mio letto e dice che è venuto
a uccidermi. Il lavoro
lo compirà a stadi.

Prima le unghie
verranno spuntate, poi le dita
dei piedi eccetera fino
a che nulla resti di me.
Stacca uno strumentucolo
dal portachiavi, e attacca.
Sento Il Lago dei Cigni dallo stereo
di un vicino e canticchio.

Quanto tempo trascorra
non so dire. Ma quando torno in me
sento che dice che è arrivato al collo
e non può continuare
perché è stanco. Gli dico
che ha fatto abbastanza,
che dovrebbe rincasare, riposare.
Mi ringrazia e se ne va.

Resto sempre sorpreso
da come si accontenta facilmente
certa gente.


La lunga festa triste

Qualcuno diceva
qualcosa sulle ombre che coprivano il campo, su
come le cose passano, su come ci si addormenta verso l’alba
e il mattino se ne va.

Qualcuno diceva
di come il vento si spegne ma poi torna,
di come le conchiglie sono le bare del vento
ma le intemperie continuano.

Era una lunga serata
e qualcuno diceva qualcosa sulla luna che cosparge di bianco
i campi gelidi, e che non c’era niente da aspettarsi
se non sempre le stesse cose.

Qualcuno parlò
di una città in cui era stata prima della guerra, una stanza e due candele
contro la parete, qualcuno che ballava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a credere

che la sera non sarebbe mai terminata.
Qualcuno diceva che la musica era finita e non se n’era accorto nessuno.
Poi qualcuno disse qualcosa sui pianeti, sulle stelle,
di quant’erano minuscoli, quant’erano lontani.


Il club di mezzanotte

Gli uomini di grande talento ci hanno detto per anni che vogliono essere amati
per quello che sono, che essi, in qualsiasi pienezza sia la loro,
nel crepuscolo sono deperibili, proprio come noi. Così lavorano tutta notte
in stanze fredde e intessute di luce lunare;
a volte, di giorno, si appoggiano alle loro auto
e fissano la valle infocata, vitrea e dorata,
ma per lo più stanno seduti, chini al buio, piedi sul pavimento,
mani sul tavolo, le camicie con una macchia di sangue sul cuore.


(da Tutte le poesie, Mondadori, 2019. Traduzione di Damiano Abeni con Moira Egan.)  

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