Octavio Irineo Paz Lozano (Città del Messico, 31 marzo 1914 – Città del Messico, 20 aprile 1998) è stato un poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990.
È considerato uno dei poeti di lingua spagnola più importanti della seconda metà del Novecento, al pari di Juan Ramón Jiménez, Vicente Huidobro, Jorge Luis Borges, César Vallejo e Pablo Neruda.
Paz, una delle figure più importanti della letteratura contemporanea, sia come poeta che come saggista, visse a lungo in Spagna, dove sostenne la lotta dei repubblicani durante la Guerra civile spagnola, e in Francia, dove ebbe modo di avvicinarsi al surrealismo.
Durante la permanenza in Francia lavorò a fianco di André Breton e Benjamin Péret.
Nel 1945 Paz entrò nel servizio diplomatico messicano. In quell'epoca, Paz scrisse Il labirinto della solitudine, un saggio sull'identità messicana. Si sposò con Elena Garro, dalla quale ebbe una figlia. Nel 1962 fu nominato ambasciatore del Messico in India. Lasciò l'incarico nel 1968, dopo il Massacro di Tlatelolco.
Nel 1956 vinse il Premio Xavier Villaurrutia e nel 1981 gli fu conferito il Premio Cervantes.
da Il fuoco di ogni giorno (trad. di E. Franco, Garzanti, 1992)
Le parole sono ponti.
Sono anche trappole, gabbie, pozzi.
Io ti parlo: tu non mi ascolti.
Non parlo con te:
parlo con una parola.
Quella parola sei tu,
quella parola
ti conduce da te stessa a te stessa.
La formammo tu, io, il destino.
La donna che sei
è la donna a cui parlo:
queste parole sono il tuo specchio,
sei te stessa e l’eco del tuo nome.
Anch’io,
parlandoti,
divento un mormorìo,
aria e parole, un soffio,
un fantasma che nasce da queste lettere.
Le parole sono ponti:
l’ombra delle colline di Meknès
su un campo di girasoli estatici
è un golfo viola.
Sono le tre del pomeriggio,
hai nove anni e ti sei addormentato
fra le braccia fresche della bionda mimosa.
Innamorato della geometria
uno sparviero disegna un cerchio.
Trema all’orizzonte
la mole rame delle colline.
Fra rupi vertiginose
i cupi bianchi di un villaggio.
Una colonna di fumo sale dalla pianura
e a poco a poco si dissipa, aria nell’aria,
come il canto del muezzin
che perfora il silenzio, ascende e fiorisce
in un altro silenzio.
Sole immobile,
immenso spazio di ali aperte;
sopra pianure di riflessi
la sete innalza minareti trasparenti.
Tu non sei addormentata né sveglia:
tu fluttui in un tempo senza ore.
Un soffio appena suscita
remoti paesi di menta e sorgenti.
Lasciati portare da queste parole
verso te stessa.
***
voglio proseguire, andare oltre, e non posso:
si è librato l’istante in un altro e un altro ancora,
ho dormito sonni di pietra che non sogna
e alla fine degli anni come pietre
ho udito cantare il mio sangue imprigionato,
con un rumore di luce il mare cantava,
una a una cedevano le mura,
tutte le porte crollavano
e il sole saccheggiava la mia fronte,
staccava le mie palpebre chiuse,
scioglieva il mio essere dal suo involto,
mi strappava da me, mi separava
dal mio bruto dormire secoli di pietra
e la sua magia di specchi resuscitava
un salice di cristallo, un pioppo d’acqua,
un alto zampillìo che il vento arcua,
un albero ben piantato ma danzante,
un camminare di fiume che si curva,
avanza, retrocede, fa una svolta
e arriva sempre
***
Nuovo volto
La notte cancella notti sul tuo volto,
sparge unguenti sulle tue palpebre secche,
brucia sulla tua fronte il pensiero
e oltre il pensiero la memoria.
Fra le ombre che ti annegano
su un altro volto albeggia.
E sento che al mio fianco
non sei tu la dormiente,
ma la bimba che sei stata
e che attendeva solo che dormissi
per tornare e conoscermi.
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