lunedì 23 giugno 2025

#biblioteca / Ezra Pound - A LUME SPENTO - Lindau

  

Ezra Pound
A LUME SPENTO
traduzione e cura di Pietro Comba
prefazione di John Gery
Lindau
collana Senza frontiere
maggio 2025
pp. 524, euro 38
ISBN 9791255842224

 
A Lume Spento, prima raccolta poetica di Ezra Pound, fu pubblicata a Venezia nel 1908 in tiratura limitatissima a spese dell’autore, allora ventitreenne. Per lungo tempo rimasta ai margini della sua produzione, anche e soprattutto a causa delle severe critiche che lo stesso poeta le rivolse in più occasioni, è in realtà un edificio poetico eclettico e complesso, che merita di essere riscoperto non solo per approfondire la conoscenza degli esordi di un autore tanto discusso, ma anche per gettare un nuovo sguardo sui lavori più maturi, in particolare sui Cantos. A Lume Spento testimonia infatti già quell’abilità po(i)etica che, sviluppata a un più alto grado di consapevolezza, avrebbe reso Pound uno degli autori fondamentali della letteratura mondiale.
 
Ezra Pound (1885-1972), poeta, saggista e traduttore statunitense, è considerato un punto di riferimento fondamentale nella storia letteraria del ’900. La sua opera è vasta, multiforme e complessa, e trova la sua massima espressione nei Cantos.
 
Pietro Comba, Dottore magistrale in Filosofia con esperienza di mediatore educativo in ambito museale, traduttore, correttore di bozze, consulente di scrittura tesi e lettore professionale di opere letterarie. Attualmente recruiter.
 
John Gery è poeta, critico e traduttore, oltre che Research Professor of English all’Università di New Orleans. Nell’ambito degli studi poundiani, ha co-curato diverse opere, tra le quali: In Venice and in the Veneto with Ezra Pound (Supernova, Venezia 2007); Ezra Pound, Ends and Beginnings: Essays and Poems from the Ezra Pound International Conference, Venice, 2007 (AMS Press, New York 2011); e le più recenti Cross-Cultural Ezra Pound (Clemson UP, Clemson 2021) ed Ezra Pound and the Spanish World (Clemson UP, Clemson 2024). Gery ha fondato e dirige l’Ezra Pound Center for Literature (con sede a Brunnenburg, Tirolo di Merano), ed è segretario della Commissione per l’Ezra Pound International Conference. **Ezra Pound, 1908: «forgiare» o «librarsi»? A differenza del testo prefatorio, il titolo è stato mantenuto in inglese sia per rendere più facilmente comprensibile il riferimento conclusivo del prof. Gery a una poesia giovanile di Pound sia in quanto il verbo to hover ha, in realtà, un significato ambiguo – «librarsi, volteggiare», ma anche «esitare» – sul quale Pound con tutta evidenza gioca.

#biblioteca / Keiko Ando Mei, Massimo Mei - LA VITA DEL POETA BASHŌ E I SUOI HAIKU - Lindau

 
Keiko Ando Mei, Massimo Mei
LA VITA DEL POETA BASHŌ E I SUOI HAIKU
Lindau
collana I Bambù
maggio 2025
pp. 276, euro 24
ISBN 9791255842248

 
Accostando il racconto della vita di Matsuo Bashō – uno dei più grandi letterati giapponesi di tutti i tempi – alla presentazione di molti suoi haiku, questo libro è forse la biografia più ricca e suggestiva disponibile in lingua italiana del poeta vissuto nel XVII secolo. Ma è molto più di questo: è anche e soprattutto una guida al suo universo artistico e spirituale. Esplorando i luoghi della sua esistenza, contemplando i paesaggi che ne hanno ispirato l’opera e aprendoci alle profonde lezioni di vita racchiuse nei suoi versi, ci mettiamo infatti in viaggio con lui lungo un cammino di crescita e conoscenza che ci conduce a uno stato di unità con la natura e con tutte le cose.
Arricchito dalle illustrazioni dello stesso Bashō e di altri artisti allievi del Maestro e continuatori della sua opera, La vita del poeta Bashō e i suoi haiku è un libro che ci ispira e ci trasforma, permettendoci di ritrovare una connessione autentica con noi stessi e con il mondo.

Introduzione
Il mio primo incontro con l’haiku avvenne quando ero ancora piuttosto giovane. Una sera di settembre mia nonna, che indossava un kimono e teneva i capelli perfettamente curati e acconciati nello stile classico, sedeva nella stanza giapponese guardando il giardino. Era una serata silenziosa con il chiaro di luna che illuminava la superficie dello stagno circondato da grandi e piccole rocce dietro alle quali si snodavano arbusti di azalee curate meticolosamente e tagliate quasi a formare una piccola catena montuosa. Improvvisamente mia nonna mi chiamò chiedendomi di portarle la scatola di lacca nera all’interno della quale si trovavano gli strumenti per la calligrafia: pennelli, inchiostro di china e la carta Hanshi. La nonna iniziò a piegare l’Hanshi in quattro lunghe strisce verticali molto sottili. Lo appoggiò dolcemente sulla mano sinistra, poi prese il pennello con la mano destra e lo intinse lentamente nell’inchiostro nero. Si fermò con grande concentrazione e in un attimo compose i versi sulla carta. L’azione era durata pochi minuti, ma il comportamento di mia nonna mi aveva affascinato e soprattutto mi avevano colpito moltissimo la sua prontezza, la spontaneità e l’eleganza. Non era riuscita a rimanere indifferente di fronte alla grande bellezza creata dalla Natura. In un istante che sarebbe svanito da lì a poco immortalò quell’attimo nei versi di un haiku. Come per mia nonna anche per tutti i giapponesi, fino a pochi decenni fa, comporre una poesia, sia nello stile waka che nello stile haiku, faceva parte della vita quotidiana. Ancora oggi i giapponesi preferiscono esprimere i loro sentimenti in maniera delicata, non gradiscono l’uso di espressioni troppo dirette ed esplicite. Troviamo questa tendenza soprattutto nell’ambito della poesia. Allora come esprimono in versi l’amore, l’odio, la gioia, la tristezza o qualsiasi altro stato d’animo? I giapponesi molto spesso osservano profondamente la vita della Natura scoprendo in essa similitudini con la vita degli esseri umani. Manifestano quindi i propri sentimenti in versi attraverso i fenomeni naturali che si rinnovano in ogni momento. Questo atteggiamento nasce dalla visione che il popolo giapponese ha della Natura. Nella tradizione occidentale la Natura viene concepita come una realtà a sé stante, oggettiva e materiale, completamente separata dal genere umano, con molteplici risorse da conquistare e usare. In Giappone invece, fin dall’antichità, il rapporto dell’uomo con il mistero del mondo che lo circonda è profondamente ancorato al sentimento religioso. Secondo il culto delle origini, lo Shinto e i miti della Creazione a esso connessi, l’universo è popolato di divinità e lo spirito divino è infuso in tutte le cose esistenti, procreate dalla prima coppia genitrice di dèi, la dea Izanami e il dio Izanagi. Le cerimonie e i riti di purificazione shintoisti rappresentano un vibrante richiamo allo stato originario di inscindibile unità tra materiale e spirituale, tra progenie umana, anch’essa di discendenza divina, e Natura. Nella visione shintoista la vita degli uomini si svolge nell’intimo legame con il creato, nei confronti del quale occorre mantenere un atteggiamento di amore e rispetto in quanto manifestazione stessa del divino. La Natura quindi non può essere considerata un semplice oggetto di possesso e sfruttamento, ma è essenziale per l’uomo stabilire armonici rapporti con la sua vita, nei diversi aspetti, ritmi e leggi che la regolano. In seguito, gli insegnamenti del buddhismo, introdotto in Giappone da Corea e Cina nel VI secolo d.C., contribuirono ad approfondire e arricchire ulteriormente l’esperienza religiosa shintoista. Un altro punto molto importante e interessante da comprendere è come il popolo giapponese elabori i ragionamenti proprio in modalità completamente contrarie a quelle degli occidentali. In effetti, si inizia da alcune particolarità oppure da fenomeni reali che possono essere colti attraverso i cinque sensi e si giunge solo alla fine al concetto generale. Per comprendere meglio vediamo un famoso haiku di Bashō.
Quando guardo attentamente
scopro il nazuna in fiore
dentro la siepe.

Il significato è molto semplice. Un giorno Bashō esce nel giardino di casa; si sente ancora il vento freddo invernale e non c’è nessuna pianta in fiore. Quando guarda però più attentamente verso la siepe scopre alcuni piccolissimi fiori bianchi di nazuna. Bashō è stato colpito da un senso di grande meraviglia per la Natura e ha sentito l’arrivo della primavera attraverso il nazuna in fiore. Ma perché l’haiku, lo stile poetico più breve del mondo composto da sole 17 sillabe in tre versi, è nato in Giappone? Per rispondere a questa domanda vorrei raccontare la storia dei fiori di convolvolo. Un giorno lo shogun Toyotomi Hideyoshi sentì dire che nel giardino della casa di Sen no Rikyū, il grande Maestro della Cerimonia del tè, erano fioriti degli splendidi convolvoli. Chiese quindi al Maestro di preparare una Cerimonia del tè, onde poter ammirare la bellezza di quei fiori. Il mattino concordato per l’incontro, Hideyoshi giunse di buon’ora e immediatamente notò che nel giardino non vi era alcuna fioritura. «Che strano!» esclamò, ma subito Sen no Rikyū lo invitò a entrare nella stanza. Al suo interno, il grande samurai scoprì sul tokonoma uno splendido Ikebana realizzato con un solo fiore di convolvolo. Era accaduto che la sera precedente Sen no Rikyū aveva fatto recidere nel giardino tutti gli altri convolvoli fioriti. Hideyoshi rimase sorpreso e, in parte, sicuramente contrariato, ma non poté non ammirare la composizione in stile Chabana eseguita dal Maestro. Comprese anche che, nella competizione con lui, aveva perso ancora una volta. Per la sensibilità giapponese, l’azione di Sen no Rikyū di creare un Ikebana con un solo convolvolo significa aver voluto rappresentare simbolicamente nell’uno tutti i convolvoli. Inoltre, concentrando l’attenzione del suo illustre ospite su quell’unico fiore, aveva voluto fargli sentire con la massima intensità la freschezza del primo mattino d’estate, mantenendo vivo e vibrante il rapporto con la Natura. «L’uno rappresenta la molteplicità, la parte rispecchia la totalità». Sono queste le linee guida dell’arte giapponese profondamente permeate dallo spirito dello Zen. Naturalmente, questa Via (Dō) di coltivazione dell’esperienza estetica che esclude tutto ciò che è superfluo ed esplicito lascia un vuoto, o per meglio dire «uno spazio vivo» e può essere intrapresa soltanto con lo sviluppo della dimensione interiore, facendo affiorare la parte più profonda di sé. Anche il cammino di Bashō sulla Via della poesia fu così. Per esprimere i suoi sentimenti, il senso di meraviglia che gli suscitavano i fenomeni quotidiani della Natura e della vita umana soltanto in tre versi, il poeta non poteva essere intrappolato in complicate strutture poetiche. Ma poiché l’haiku esprime, con poche limitate parole, i sentimenti più profondi del poeta, i versi vengono «spogliati» del superfluo per poter così svelare ai lettori solo «uno spazio vivo» di vere emozioni. Consideriamo le due forme poetiche classiche composte rispettivamente da 35 e 17 sillabe, che nel panorama letterario mondiale costituiscono senza dubbio le più brevi opere in versi: la poesia waka che rappresenta lo stile poetico tradizionale e l’haiku, di soli tre versi, che si sviluppò agli inizi del XVII secolo soprattutto a opera del famoso poeta Matsuo Bashō. In questi stili il poeta deve riuscire a esprimere il suo sentimento tenendo presente il vincolo stabilito dal numero delle sillabe e concentrarsi, quindi, sulla pura essenzialità. Leggendo la poesia accade, poi, qualcosa di simile a quando si gettano dei sassolini sulla superficie dell’acqua che danno origine a cerchi concentrici che si allargano sempre più. La parte del messaggio poetico non espressa nei versi crea uno spazio libero, aperto, chiamato yojō (da yo, «oltre», e jō, «sentimento»). Questo «sentimento che va oltre» suscita come una vibrazione, che induce il lettore attento a partecipare all’opera creativa, colmando lo spazio vuoto con la propria sensibilità ed esperienza.
Oh silenzio!
Stridio di cicale
penetra le rocce

Bashō compose questa sua famosa poesia durante la visita al Tempio Ryushakuji, in un viaggio nel nord del Giappone; riusciamo a immaginare il giardino di questo tempio, situato sulla sommità di un monte tra alberi secolari e rocce, immerso nel silenzio di un mezzogiorno d’estate. L’atmosfera silente che viene evocata dal primo verso è di profonda calma; nel secondo diviene invece vibrazione e «spazio vivo» con lo stridere delle cicale; infine, come penetrando nelle rocce, la tensione risvegliata da quel suono viene riassorbita nel silenzio e nella quiete. La poesia, nel suo complesso, ispira nel lettore uno stato di silenzio, vibrazione e calma: lo «spazio vivo» che sotto forme diverse possiamo ritrovare in tutti gli haiku di Bashō. Per concludere voglio esprimere la mia riconoscenza al Museo Idemitsu di Tokyo, al Museo Kakimori Bunko di Itami, all’Università Tenri di Nara, al Tempio Gichuji a Ōtsu, alla Tokyo University of the Arts e alla Nomura Art di Tokyo. Porgo anche un ringraziamento alle mie care amiche Okumura Shoko per le immagini pittoriche, Federica Sonzogno per la collaborazione nella realizzazione editoriale e Antonietta Ferrari e Grazia Bonomo per la revisione della traduzione in italiano.
Infine, la mia gratitudine va di cuore a mio marito, Massimo Maria Mei. È insieme a lui che ho iniziato a insegnare la poesia di Bashō al Centro di Cultura Giapponese di Milano dal 1975 e abbiamo cominciato a scrivere questo libro nel 2006, ma purtroppo ci ha lasciati prima di poterne vedere la pubblicazione. La realizzazione stessa di questo libro è stata possibile solo grazie alla sua costante ricerca e alla sua grande volontà di far conoscere in Occidente il cammino del grande poeta giapponese Bashō e i suoi meravigliosi haiku.

Keiko Ando Mei, nata a Chiba, in Giappone, nel 1975 si è trasferita a Milano, dove ha fondato, assieme a suo marito Massimo Mei, il Centro di Cultura Giapponese, che tutt’ora dirige. Studia Bashō da oltre cinquant’anni. Ha tenuto conferenze e organizzato mostre e convegni presso vari musei e istituzioni, tra i quali la Triennale e Palazzo Reale a Milano e l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
 
Massimo Mei, nato a Roma, studioso della cultura giapponese e specialmente della religione autoctona del Paese, lo shintoismo, è anche un profondo conoscitore del buddhismo zen, della letteratura tradizionale e di Bashō in particolare. Le sue traduzioni degli haiku di Bashō riflettono la sua profonda comprensione dello spirito e della lingua giapponesi

#biblioteca / Stefano Mura - COMPOST - Fefè editore

 
Stefano Mura
COMPOST
e altre poesie vegetali

con testi di Jean-Jacque Roussiers e Luciana Del Prete
Fefè editore
collana Fra[m]menti
2025
pp. 116. € 15,00
ISBN 9788894947984


Stefano Mura poeta ci conduce verso una serra multiforme, senziente e vivissima per arrivare a uno scambio sensoriale tra vegetale e umano, a un tentativo di comunicazione profonda tra due mondi. Ritrovarsi in questa selva mai oscura è un piacere e una festa, come solo le piante sanno fare. La botanica in poesia di Mura ci sorprende e diverte in un gioco nuovo, lieve ma serio. In copertina, una composizione di Paolo Marabotto.

Stefano Mura è nato a Roma. In quel di Bormes-les-Mimosas, in Costa Azzurra, ha conosciuto J-J Roussiers e Bégonia Dujardin. Compost nasce, cresce e fiorisce qui. Ha scritto sei libri di poesia. Ha la barba, fuma la pipa e gira in motocicletta, che adora quanto la poesia; in motocicletta, come quel tal John Berger. Ha lavorato alla Accademia dei Lincei, in Biblioteca Nazionale Centrale, alla Enciclopedia Italiana Treccani e con una doppia piroetta, cambiando arte e mestieri, con Italcable e Telecom Italia.


Massimo Raffaeli su "Il Manifesto" ricorda Stefano Simoncelli

 

Il ricordo di Massimo Raffaeli su “Il Manifesto” del poeta Stefano Simoncelli, morto poco più di un mese fa.


Un duplice esordio segna la vicenda poetica di Stefano Simoncelli, uno dei maggiori poeti italiani, mancato nella notte del 20 maggio nella Cesenatico in cui era nato il 6 gennaio del 1950. Il primo incipit è un segno generazionale con la fondazione della rivista “Sul Porto” (1973-’83) che dà voce tanto all’inquietudine politica di giovani interni al Movimento quanto agli impulsi ed estri immaginativi che la sola politica non può mediare. Perché “Sul Porto” nasce dal silenzio procurato dal Gruppo 63 come dal consenso istituzionale del PCI: oltre ai testi dei redattori (fra costoro Walter Valeri e Ferruccio Benzoni, un altro poeta di massimo rango) “Sul Porto” ospita fisionomie di maestri non collocabili nella stretta dialettica di Ordine e Disordine come Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caproni, Giovanni Raboni, Giorgio Orelli, Sandro Penna e quel Vittorio Sereni che dei ragazzi di Cesenatico (li chiamava “i fratellini”) diverrà un riferimento essenziale. Nel quaderno collettivo di Guanda che già nel 1980 ospita “Sul Porto” c’è un mannello di poesie di Simoncelli, Via dei Platani, e testimonia di un lirico che predilige l’elegia e dunque il richiamo al presente, nell’hic et nunc, dei lontani e dei trapassati, come si trattasse di una perpetua elaborazione del lutto. Quanto a questo, l’ispirazione di Simoncelli non cambierà mai pure se dopo il primo esordio, la fine di “Sul Porto” e lo sfaldarsi del gruppo che animava la rivista, c’è per lui una improvvisa battuta d’arresto che prelude ad alcuni fatti capitali: la laurea in Fisica a Bologna con la decisione di non farne nulla, l’inizio di una carriera tennistica di un certo rilievo (Stefano sarà un maestro affettuoso e irruento, come era tipico del suo carattere malinconico travisato da burbero), infine l’incontro con Patrizia, la sua prima moglie amatissima e troppo presto perduta. Gli anni ottanta e novanta sono anni di deriva e dispersione, costellati di assenze e di lutti: ne è riprova l’uscita da Gremese nel 1989 del volume Poesie d’avventura che non voleva affatto pubblicare (fu Enzo Siciliano a strapparglielo di mano), un libro che sembra non avere una struttura interna ma tuttavia è bellissimo, il prologo inconscio di quanto il poeta prenderà a pubblicare solo vent’anni dopo. Perché bisogna attendere il quinquennio 2004-2008 per il secondo e autentico esordio di Simoncelli con il trittico Giocavo all’ala, La rissa degli angeli, Stazione remota tutti proposti da peQuod, l’editrice anconetana di Marco Monina e Antonio Rizzo cui va reso il merito non solo di averne effettuato il recupero ma di averne pubblicato con fedeltà e dedizione i libri successivi, non meno di una decina. La poesia di Simoncelli è data una volta per sempre e consiste in un ininterrotto dialogo con i defunti (sua moglie Patrizia, poi sarà la madre, il padre, vecchi amici, figuranti della vita), i quali non tornano al presente come spettri assillanti ma da interlocutori muti, attori in un dialogo necessario a chi è sopravvissuto: chiara qui è la lezione di Pascoli (ma un Pascoli esente da familismo e dai sovratoni del phatos) che si lega a quella, naturalmente, di Vittorio Sereni. E’ come se Simoncelli fosse ripartito dalla poesia che sta in fondo a Gli strumenti umani e si intitola La spiaggia, dove è detto: “i morti non è quel che di giorno/ in giorno va sprecato, ma quelle/ toppe d’inesistenza, calce o cenere/ pronte a farsi movimento e luce”. Le presenze postume che abitano la poesia di Simoncelli non sono infatti i correlativi oggettivi della nostalgia (e nemmeno, a ben leggere, le proiezioni della sua personale malinconia) ma sono viceversa i segnacoli di un’esistenza disperatamente agita, ad ogni istante agognata, pure se cosciente del proprio destino di mortalità. E sono ancora i motivi che toccano i libri della sua compiuta maturazione, ancora una volta proposti in sequenza, stavolta una tetralogia: Terza copia del gelo (’12), Hotel degli introvabili (’14), Prove del diluvio (’17) e Residence Cielo (’19). Lo stile non potrebbe essere più classico, la lingua è senza macchie di gergo, il metro è l’endecasillabo di base riproposto con continue variazioni ritmiche (anche il più asimmetrico dei versi qui cade sempre in piedi): ciò che ne connota i testi e li rende subito riconoscibili è la sua “voce”, una cadenza che all’inizio pare leggermente saccadé eppure sa mantere un suo tenacissimo equilibrio. Ad apertura di pagina, da Hotel degli introvabili: “Poi in un’alba livida e piena di vento,/ quando ormai non ci contavo più,/ si è aperta e richiusa la porta dove dormivo/ e l’ho visto: era lì, ai piedi del letto,/ che mi aspettava fumando”. A ripensarlo nel sole della casa dei suoi ultimi anni sulla collina dell’Acquarola, sopra Cesena, vicino alla seconda moglie molto amata, Daniela, circondato dai suoi cani inseparabili, Teo e Margot, dedito alle passioni di sempre (il fumo, lo wiski, il gioco del calcio e la Juventus) chiunque avrebbe detto la sua vita finalmente compiuta, a partire dagli amici poeti che lo andavano a trovare, da Giancarlo Sissa a Mario Santagostini, da Francesco Scarabicchi a Fabio Pusterla che ne ospitò una bellissima antologia complessiva - Stazioni remote – nella sua collana da Marcos y Marcos nel 2023. Lì Stefano Simoncelli, lui che poteva sembrare sempre un po’ ruvido e distante, officiava il rito della ospitalità, la virtù poetica per eccellenza, per un senso in lui così innato dell’amicizia da non sentire nemmeno il bisogno di dichiararla. “Non assomiglio più a nessuno…/ Certe volte sembro un banco di nebbia,/ impenetrabile e denso, come quelli// che arrivano dal mare a tradimento/ verso mezzogiorno portandosi via tutto”: La persona di Stefano Simoncelli, ed è raro, annunciava la sua stessa poesia.

#biblioteca / GRADIVA - Rivista internazionale di poesia italiana - numero 67 – primavera 2025

 
AA.VV.
GRADIVA
Rivista internazionale di poesia italiana
numero 67 – primavera 2025
NUMERO SPECIALE PER IL CINQUANTENARIO DI «GRADIVA» (1976-2025)
Olschki


Con questo numero, «Gradiva» compie cinquant’anni. Non è sempre stata una rivista che si occupasse soltanto di poesia. È nata nel 1976 per trattare di letteratura e psicanalisi, per evolversi poi pochi anni dopo in direzione di quella rivista che è ora (e che potrebbe ancora mutare). Il suo percorso l’ha portata da letteratura-psicanalisi a poesia, e da poesia in generale alla poesia italiana, o in traduzione. Sono ben poche le riviste letterarie che giungono a cinquant’anni di vita, e che hanno avuto solo quattro cambiamenti di direzione: Adriano Berengo e J. Mark Heumann dal 1976 al 1982, Luigi Fontanella e George Carpetto dal 1983 al 1985, Luigi Fontanella dal 1985 al 2019 e yours truly dal 2019 ad oggi.
Da Editoriale di Alessandro Carrera
 
Alessandro Carrera, Il mandato del poeta e il mandato di una rivista. Editoriale
~ Breve storia di «Gradiva» ~ Alessandro Carrera, Introduzione • Adriano Berengo - J. Mark Heumann, Editoriale del n. 1, 1976 • Luigi Fontanella, Editoriale del n. 1, nuova serie, 1982 • Luigi Fontanella, Editoriale del n. 18, 2000 • Luigi Fontanella, Editoriale dei nn. 27-28, 2005 • Luigi Fontanella, Editoriale dei nn. 43-44, 2013
~ I Poeti di Gradiva ~ Sebastiano Aglieco, Due inediti • Sauro Albisani, Free Jazz • Antonello Borra, Mount Sinai a ottobre • Michele Brancale, Alle porte di Efeso • Francesco Capaldo, “Risorge dal fiume…” • Alessandro Carrera, Attraversando il Texas di notte • Maurizio Cucchi, Due tesi • Fabio Dainotti, Effe • Fabrizio Dall’Aglio, “Lo senti. Il pomeriggio…” • Milo De Angelis, “Starò con te” • Anna Elisa De Santis, Palm Beach, Florida, gennaio 2025 • Vincenzo Di Oronzo, Semivolti • Pasquale Di Palmo, Rèfolo d’autunno • Luigi Fontanella, Inverno di cuori vivi • Mario Fresa, Relazione • Annalisa Macchia, A casa • Valerio Magrelli, Due meraviglie • Irene Marchegiani, “Tempo della storia” • Carlangelo Mauro, Nessuna pagina • Giorgio Mobili, Promenade • Ivano Mugnaini, Un pensiero per «Gradiva» • Alessandra Paganardi, A Luigi e Irene • Michael Palma, The Town • Plinio Perilli, Lo sguardo bianco • Giancarlo Pontiggia, La porta • Enzo Rega, “I silenzi si sono sommati…” • Mario Santagostini, Il figlio • Victoria Surliuga, Tra Chicago e New York • Marco Vitale, “Questo sottile décalage…” • Luigi Cannillo, “Sta entrando…”, “The lindens’ perfume…” • Barbara Carle, Regaleco il mostro marino, Sea Monster or Oarfish
Nuova Poesia Italiana in America • GianMaria Annovi, Passano gli anni e tutto, Tre trittici • Patrizio Ceccagnoli, due traduzioni da Anne Carson e Milo De Angelis (con Susan Stewart) • Monica Martinelli, Tre poesie • Domenico Napoletani, Linguaggi logiche (o licheni) • Federico Pacchioni, Nel reticolato di strade meravigliose • Alessandro Polcri, Etimologia immaginaria • Francesco Satta, Gjâmë
~ Poesia Italiana ~ Michele Bellotti, da Arcangeli e tirannosauri • Giada Giordano, I-VI • Alfredo Panetta, Ponti sdarrupatu. Il crollo del ponte
~ Carte ritrovate A cura di Alessandro Carrera ~ Roberto Carifi, Quattro prose. con una nota. • Alessandro Carrera, La vita di Dio narrata da Dio stesso. Un ricordo di Franco Ferrucci (1936-2010). • Franco Ferrucci, Variazioni musicali di Ungaretti su un testo di Leopardi. (inedito). • Franco Ferrucci, L’ombra lunga della Poetica di Aristotele. (inedito). • Alessandro Carrera, I milioni di minuti di cui è fatto il tempo. Un ricordo di Giancarlo Majorino (1928-2021). • Giancarlo Majorino, La bellezza svincolata della poesia. -1997. • Giancarlo Majorino, Veduta. (autografo 2004).
~ Articoli, saggi, interventi ~ Alberto Biscaldi, Antidoto e veleno. Tutte le poesie di Antonella Anedda • Laura Cantelmo, Visioni e sfide di Perseo. Sulle “trasmutazioni” di Adam Vaccaro • Pasquale Di Palmo, Due ritratti. Sinisgalli e Valeri
~ Intermezzo ~ Paolo Artale, da Egagropile • Sebastiano Diciassette, Sei poesie • Barbara Mastroviti, da Fronte retro dell’essere umano. (Draw Out) • Ivan Pozzoni, Quattro poesie
~ Traduzioni ~ Josè Lezama Lima, Poesie. con una nota e traduzione di Yuleisy Cruz Lezcano • Piedmontese Poetry Today: An Anthological Selection (Part Three). A cura di Antonello Borra
~ Gli strumenti della poesia ~ Frankestein è come il poeta, attratto dalla melodia. Su Exfanzia e dintorni di Valerio Magrelli. A cura di Mario Buonofiglio
~ Lo scaffale di babele ~ Le poesie di Giancarlo Marmori. A cura di Paolo Senna
~ Dialoghi di poetiche ~ In conversazione con Alessandro Brancacci. A cura di Tommaso Di Dio
~ Oltre margine ~ Musica e poesia oggi. Nuove ricerche. (seconda parte). A cura di Luigi Cannillo
~ Rassegna Critica / Reviews ~ Alessio Brandolini. G. Mobili • Luigi Cannillo. A. Paganardi • Franco Castellani. D. Bertelli • Tamara Colacicco. A. Macchia • Lorenzo Ferrarotti. D. Pasero • Louise Glück. A. Carrera • Federico Gobbetti. F.M. Federici • Carol Loeb Schloss. M. Bacigalupo • Bruno Nacci. E. Pretti • Renato Pennisi. S. Aglieco • Daniele Piccini. F. Caprilli • Enea Roversi. P. Perilli • Rocco Rubini. A. Carrera • Giovanni Tesio e Albina Malerba. D. Pasero • Maria Grazia Trivigno. P. Perilli • Caterina Trombetti. A. Macchia
~ Collaboratori / Contributors
~ Informazioni

#biblioteca / Ezra Pound - A LUME SPENTO - Lindau

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