Keiko Ando Mei, Massimo Mei
LA VITA DEL POETA BASHŌ E I SUOI HAIKULindau
collana I Bambù
maggio 2025
pp. 276, euro 24
ISBN 9791255842248
Accostando il racconto della vita di
Matsuo Bashō – uno dei più grandi letterati giapponesi di tutti i
tempi – alla presentazione di molti suoi haiku, questo libro è
forse la biografia più ricca e suggestiva disponibile in lingua
italiana del poeta vissuto nel XVII secolo. Ma è molto più di
questo: è anche e soprattutto una guida al suo universo artistico e
spirituale. Esplorando i luoghi della sua esistenza, contemplando i
paesaggi che ne hanno ispirato l’opera e aprendoci alle profonde
lezioni di vita racchiuse nei suoi versi, ci mettiamo infatti in
viaggio con lui lungo un cammino di crescita e conoscenza che ci
conduce a uno stato di unità con la natura e con tutte le
cose.
Arricchito dalle illustrazioni dello stesso Bashō e di
altri artisti allievi del Maestro e continuatori della sua opera, La
vita del poeta Bashō e i suoi haiku è un libro che ci ispira e ci
trasforma, permettendoci di ritrovare una connessione autentica con
noi stessi e con il mondo.
Introduzione
Il mio primo incontro con l’haiku
avvenne quando ero ancora piuttosto giovane. Una sera di settembre
mia nonna, che indossava un kimono e teneva i capelli perfettamente
curati e acconciati nello stile classico, sedeva nella stanza
giapponese guardando il giardino. Era una serata silenziosa con il
chiaro di luna che illuminava la superficie dello stagno circondato
da grandi e piccole rocce dietro alle quali si snodavano arbusti di
azalee curate meticolosamente e tagliate quasi a formare una piccola
catena montuosa. Improvvisamente mia nonna mi chiamò chiedendomi di
portarle la scatola di lacca nera all’interno della quale si
trovavano gli strumenti per la calligrafia: pennelli, inchiostro di
china e la carta Hanshi. La nonna iniziò a piegare l’Hanshi in
quattro lunghe strisce verticali molto sottili. Lo appoggiò
dolcemente sulla mano sinistra, poi prese il pennello con la mano
destra e lo intinse lentamente nell’inchiostro nero. Si fermò con
grande concentrazione e in un attimo compose i versi sulla carta.
L’azione era durata pochi minuti, ma il comportamento di mia nonna
mi aveva affascinato e soprattutto mi avevano colpito moltissimo la
sua prontezza, la spontaneità e l’eleganza. Non era riuscita a
rimanere indifferente di fronte alla grande bellezza creata dalla
Natura. In un istante che sarebbe svanito da lì a poco immortalò
quell’attimo nei versi di un haiku. Come per mia nonna anche per
tutti i giapponesi, fino a pochi decenni fa, comporre una poesia, sia
nello stile waka che nello stile haiku, faceva parte della vita
quotidiana. Ancora oggi i giapponesi preferiscono esprimere i loro
sentimenti in maniera delicata, non gradiscono l’uso di espressioni
troppo dirette ed esplicite. Troviamo questa tendenza soprattutto
nell’ambito della poesia. Allora come esprimono in versi l’amore,
l’odio, la gioia, la tristezza o qualsiasi altro stato d’animo? I
giapponesi molto spesso osservano profondamente la vita della Natura
scoprendo in essa similitudini con la vita degli esseri umani.
Manifestano quindi i propri sentimenti in versi attraverso i fenomeni
naturali che si rinnovano in ogni momento. Questo atteggiamento nasce
dalla visione che il popolo giapponese ha della Natura. Nella
tradizione occidentale la Natura viene concepita come una realtà a
sé stante, oggettiva e materiale, completamente separata dal genere
umano, con molteplici risorse da conquistare e usare. In Giappone
invece, fin dall’antichità, il rapporto dell’uomo con il mistero
del mondo che lo circonda è profondamente ancorato al sentimento
religioso. Secondo il culto delle origini, lo Shinto e i miti della
Creazione a esso connessi, l’universo è popolato di divinità e lo
spirito divino è infuso in tutte le cose esistenti, procreate dalla
prima coppia genitrice di dèi, la dea Izanami e il dio Izanagi. Le
cerimonie e i riti di purificazione shintoisti rappresentano un
vibrante richiamo allo stato originario di inscindibile unità tra
materiale e spirituale, tra progenie umana, anch’essa di
discendenza divina, e Natura. Nella visione shintoista la vita degli
uomini si svolge nell’intimo legame con il creato, nei confronti
del quale occorre mantenere un atteggiamento di amore e rispetto in
quanto manifestazione stessa del divino. La Natura quindi non può
essere considerata un semplice oggetto di possesso e sfruttamento, ma
è essenziale per l’uomo stabilire armonici rapporti con la sua
vita, nei diversi aspetti, ritmi e leggi che la regolano. In seguito,
gli insegnamenti del buddhismo, introdotto in Giappone da Corea e
Cina nel VI secolo d.C., contribuirono ad approfondire e arricchire
ulteriormente l’esperienza religiosa shintoista. Un altro punto
molto importante e interessante da comprendere è come il popolo
giapponese elabori i ragionamenti proprio in modalità completamente
contrarie a quelle degli occidentali. In effetti, si inizia da alcune
particolarità oppure da fenomeni reali che possono essere colti
attraverso i cinque sensi e si giunge solo alla fine al concetto
generale. Per comprendere meglio vediamo un famoso haiku di Bashō.
Quando guardo attentamente
scopro il nazuna in fiore
dentro la siepe.
Il significato è molto semplice. Un
giorno Bashō esce nel giardino di casa; si sente ancora il vento
freddo invernale e non c’è nessuna pianta in fiore. Quando guarda
però più attentamente verso la siepe scopre alcuni piccolissimi
fiori bianchi di nazuna. Bashō è stato colpito da un senso di
grande meraviglia per la Natura e ha sentito l’arrivo della
primavera attraverso il nazuna in fiore. Ma perché l’haiku, lo
stile poetico più breve del mondo composto da sole 17 sillabe in tre
versi, è nato in Giappone? Per rispondere a questa domanda vorrei
raccontare la storia dei fiori di convolvolo. Un giorno lo shogun
Toyotomi Hideyoshi sentì dire che nel giardino della casa di Sen no
Rikyū, il grande Maestro della Cerimonia del tè, erano fioriti
degli splendidi convolvoli. Chiese quindi al Maestro di preparare una
Cerimonia del tè, onde poter ammirare la bellezza di quei fiori. Il
mattino concordato per l’incontro, Hideyoshi giunse di buon’ora e
immediatamente notò che nel giardino non vi era alcuna fioritura.
«Che strano!» esclamò, ma subito Sen no Rikyū lo invitò a
entrare nella stanza. Al suo interno, il grande samurai scoprì sul
tokonoma uno splendido Ikebana realizzato con un solo fiore di
convolvolo. Era accaduto che la sera precedente Sen no Rikyū aveva
fatto recidere nel giardino tutti gli altri convolvoli fioriti.
Hideyoshi rimase sorpreso e, in parte, sicuramente contrariato, ma
non poté non ammirare la composizione in stile Chabana eseguita dal
Maestro. Comprese anche che, nella competizione con lui, aveva perso
ancora una volta. Per la sensibilità giapponese, l’azione di Sen
no Rikyū di creare un Ikebana con un solo convolvolo significa aver
voluto rappresentare simbolicamente nell’uno tutti i convolvoli.
Inoltre, concentrando l’attenzione del suo illustre ospite su
quell’unico fiore, aveva voluto fargli sentire con la massima
intensità la freschezza del primo mattino d’estate, mantenendo
vivo e vibrante il rapporto con la Natura. «L’uno rappresenta la
molteplicità, la parte rispecchia la totalità». Sono queste le
linee guida dell’arte giapponese profondamente permeate dallo
spirito dello Zen. Naturalmente, questa Via (Dō) di coltivazione
dell’esperienza estetica che esclude tutto ciò che è superfluo ed
esplicito lascia un vuoto, o per meglio dire «uno spazio vivo» e
può essere intrapresa soltanto con lo sviluppo della dimensione
interiore, facendo affiorare la parte più profonda di sé. Anche il
cammino di Bashō sulla Via della poesia fu così. Per esprimere i
suoi sentimenti, il senso di meraviglia che gli suscitavano i
fenomeni quotidiani della Natura e della vita umana soltanto in tre
versi, il poeta non poteva essere intrappolato in complicate
strutture poetiche. Ma poiché l’haiku esprime, con poche limitate
parole, i sentimenti più profondi del poeta, i versi vengono
«spogliati» del superfluo per poter così svelare ai lettori solo
«uno spazio vivo» di vere emozioni. Consideriamo le due forme
poetiche classiche composte rispettivamente da 35 e 17 sillabe, che
nel panorama letterario mondiale costituiscono senza dubbio le più
brevi opere in versi: la poesia waka che rappresenta lo stile poetico
tradizionale e l’haiku, di soli tre versi, che si sviluppò agli
inizi del XVII secolo soprattutto a opera del famoso poeta Matsuo
Bashō. In questi stili il poeta deve riuscire a esprimere il suo
sentimento tenendo presente il vincolo stabilito dal numero delle
sillabe e concentrarsi, quindi, sulla pura essenzialità. Leggendo la
poesia accade, poi, qualcosa di simile a quando si gettano dei
sassolini sulla superficie dell’acqua che danno origine a cerchi
concentrici che si allargano sempre più. La parte del messaggio
poetico non espressa nei versi crea uno spazio libero, aperto,
chiamato yojō (da yo, «oltre», e jō, «sentimento»). Questo
«sentimento che va oltre» suscita come una vibrazione, che induce
il lettore attento a partecipare all’opera creativa, colmando lo
spazio vuoto con la propria sensibilità ed esperienza.
Oh silenzio!
Stridio di cicale
penetra le rocce
Bashō compose questa sua famosa poesia
durante la visita al Tempio Ryushakuji, in un viaggio nel nord del
Giappone; riusciamo a immaginare il giardino di questo tempio,
situato sulla sommità di un monte tra alberi secolari e rocce,
immerso nel silenzio di un mezzogiorno d’estate. L’atmosfera
silente che viene evocata dal primo verso è di profonda calma; nel
secondo diviene invece vibrazione e «spazio vivo» con lo stridere
delle cicale; infine, come penetrando nelle rocce, la tensione
risvegliata da quel suono viene riassorbita nel silenzio e nella
quiete. La poesia, nel suo complesso, ispira nel lettore uno stato di
silenzio, vibrazione e calma: lo «spazio vivo» che sotto forme
diverse possiamo ritrovare in tutti gli haiku di Bashō. Per
concludere voglio esprimere la mia riconoscenza al Museo Idemitsu di
Tokyo, al Museo Kakimori Bunko di Itami, all’Università Tenri di
Nara, al Tempio Gichuji a Ōtsu, alla Tokyo University of the Arts e
alla Nomura Art di Tokyo. Porgo anche un ringraziamento alle mie care
amiche Okumura Shoko per le immagini pittoriche, Federica Sonzogno
per la collaborazione nella realizzazione editoriale e Antonietta
Ferrari e Grazia Bonomo per la revisione della traduzione in
italiano.
Infine, la mia gratitudine va di cuore
a mio marito, Massimo Maria Mei. È insieme a lui che ho iniziato a
insegnare la poesia di Bashō al Centro di Cultura Giapponese di
Milano dal 1975 e abbiamo cominciato a scrivere questo libro nel
2006, ma purtroppo ci ha lasciati prima di poterne vedere la
pubblicazione. La realizzazione stessa di questo libro è stata
possibile solo grazie alla sua costante ricerca e alla sua grande
volontà di far conoscere in Occidente il cammino del grande poeta
giapponese Bashō e i suoi meravigliosi haiku.
Keiko Ando Mei, nata a Chiba, in
Giappone, nel 1975 si è trasferita a Milano, dove ha fondato,
assieme a suo marito Massimo Mei, il Centro di Cultura Giapponese,
che tutt’ora dirige. Studia Bashō da oltre cinquant’anni. Ha
tenuto conferenze e organizzato mostre e convegni presso vari musei e
istituzioni, tra i quali la Triennale e Palazzo Reale a Milano e
l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Massimo Mei, nato a Roma, studioso
della cultura giapponese e specialmente della religione autoctona del
Paese, lo shintoismo, è anche un profondo conoscitore del buddhismo
zen, della letteratura tradizionale e di Bashō in particolare. Le
sue traduzioni degli haiku di Bashō riflettono la sua profonda
comprensione dello spirito e della lingua giapponesi