Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo
Alberto Camillo Salustri (Roma, 26
ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950),
è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano,
particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto
romanesco.
Carlo Alberto Camillo Salustri nasce a Roma il 26 ottobre 1871 da
Vincenzo, cameriere originario di Albano Laziale, e Carlotta
Poldi, sarta bolognese a via del Babuino.
Secondogenito dei Salustri, venne battezzato il 31 ottobre
nella chiesa di San Giacomo in Augusta, con l'aggiunta di un
quarto nome, Mariano. Un anno dopo, nel 1872, la sorella
Elisabetta morì all'età di tre anni a causa di una difterite.
L'infanzia travagliata del giovane Carlo venne colpita nuovamente due
anni dopo, il 1º aprile 1874, a causa della morte del padre
Vincenzo. Carlotta Poldi, dopo la morte del marito, decise di
trasferirsi con il piccolo Carlo in via Ripetta, dove rimase per
soli undici mesi, per poi trasferirsi nuovamente, nel palazzo
in piazza di Pietra del marchese Ermenegildo Del Cinque,
padrino di Carlo. Probabilmente è alla figura del marchese Del
Cinque che Trilussa dovrà la conoscenza di Filippo Chiappini,
poeta romanesco seguace del Belli; infatti Chiappini,
nel sonetto Ar marchese Riminigirdo Der Cinque, indirizzato al
padrino di Carlo Alberto, sembra riferirsi a Carlotta Poldi e a suo
figlio quando, nella terzina conclusiva, scrive:
«S'aricordi de me: non
facci sciupo
de la salute sua, ch'adesso è bbona,
un zaluto a
Ccarlotta e un bacio ar pupo.»
«Si ricordi di me: non
rovini
la sua salute, adesso che è buona,
un saluto a Carlotta
e un bacio al bambino.»
(Filippo
Chiappini, Ar marchese Riminigirdo Der Cinque)
Nel
1877 Carlotta iscrisse suo figlio alle scuole municipali San Nicola,
dove Carlo frequentò la prima e la seconda elementare. In seguito,
nell'ottobre 1880, sostenne l'esame per essere ammesso al Collegio
Poli dei Fratelli delle scuole cristiane, ma avendo
sbagliato una semplice sottrazione, fu costretto a ripetere il
secondo anno. A causa della sua negligenza e dello scarso impegno
dovette ripetere anche la terza classe per poi, nel 1886, abbandonare
definitivamente gli studi formali, nonostante le pressioni della
madre, dello zio Marco Salustri e del professor Chiappini, che
insistettero affinché Carlo continuasse a studiare.
Nel 1887, all'età di sedici anni,
presentò a Giggi Zanazzo, poeta dialettale direttore
del Rugantino, un suo componimento chiedendone la pubblicazione.
Il sonetto di ispirazione belliana, intitolato L'invenzione
della stampa, partendo dall'invenzione di Johann
Gutenberg sfociava, nelle terzine finali, in una critica alla
stampa contemporanea:
«Cusì successe, caro patron Rocco,
Che quanno annavi ne le libbrerie
Te portavi via
n' libbro c'un baijocco.
Mentre mo ce so' tante porcherie
De
libri e de giornali che pe n' sordo
Dicono un frego de
minchionerie»
«Così succedeva, caro
patron Rocco,
che quando andavi nelle librerie
acquistavi un
libro con cinque centesimi.
Mentre adesso ci sono tanti
libri e giornali
fatti male che per cinque centesimi
dicono
moltissime sciocchezze.»
(Trilussa, L'invenzione della stampa)
Zanazzo
accettò di pubblicare il sonetto, che apparve nell'edizione del 30
ottobre 1887 firmato in calce con lo pseudonimo Trilussa. Da
questa prima pubblicazione iniziò un'assidua collaborazione con il
periodico romano, grazie anche al sostegno e all'incitamento
di Edoardo Perino, editore del Rugantino, che porterà il
giovane Trilussa a pubblicare, tra il 1887 e il 1889, cinquanta
poesie e quarantuno prose.
Tra le tante poesie stampate tra le pagine del Rugantino,
riscossero un successo clamoroso le Stelle de Roma, una serie di
circa trenta madrigali che omaggiavano alcune delle più
belle fanciulle di Roma. A partire dalla prima stella,
pubblicata il 3 giugno, le poesie dedicate alle donzelle romane
acquistarono progressivamente popolarità tale da coinvolgere
l'intera redazione del Rugantino. Più autori, celati dietro a
pseudonimi, si cimenteranno nella stesura di poesie intitolate
a stelle sulla falsariga di quelle trilussiane. La
popolarità che ottennero le sue composizioni spinse Trilussa a
selezionarne venti e, dopo aver effettuato un lavoro di revisione
durante il quale apportò sostanziali modifiche alle poesie scelte,
le pubblicò in quella che sarà la sua prima raccolta di
poesie, Stelle de Roma. Versi romaneschi, pubblicata nel 1889 da
Cerroni e Solaro. Tuttavia l'improvvisa popolarità portò con sé le
critiche dei belliani, che lo attaccarono per i temi trattati e lo
accusarono di utilizzare un romanesco amalgamato all'italiano. Tra
questi ci fu lo stesso Filippo Chiappini, che con lo pseudonimo
di Mastro Naticchia canzonò il suo pupillo per mezzo di
due poesie pubblicate sul Rugantino.
Dopo la pubblicazione della sua prima opera, le collaborazioni con
il Rugantino diminuirono di frequenza; tuttavia Trilussa
rimase fortemente legato all'editore Perino, con cui pubblicò, nel
1890, l'almanacco Er Mago de Bborgo. Lunario pe' 'r 1890, una
ripresa dell'omonimo almanacco ideato nel 1859 dal poeta romanesco
Adone Finardi, realizzato in collaborazione con Francesco Sabatini,
in arte Padron Checco, e il disegnatore Adriano Minardi, in
arte Silhouette. Trilussa scrive per l'almanacco un sonetto per
ogni mese dell'anno, con in aggiunta un componimento di chiusura e
alcune prose in romanesco.
Il Don Chisciotte e le favole rimodernate (1891-1900)
L'esperienza del lunario venne ripetuta anche l'anno successivo
con Er Mago de Bborgo. Lunario pe' 'r 1891: questa volta i testi
sono tutti di Trilussa, senza la collaborazione di Francesco
Sabatini, ma accompagnati nuovamente dai disegni di
Silhouette. Nel frattempo il poeta romano collaborò con
vari periodici, pubblicando poesie e prose su Il Ficcanaso.
Almanacco popolare con caricature per l'anno 1890, Il
Cicerone e La Frusta. Ma la collaborazione più importante
per Trilussa giunse nel 1891, quando iniziò a scrivere per il Don
Chisciotte della Mancia, un quotidiano di diffusione nazionale,
alternando articoli satirici che prendevano di mira la
politica di Crispi e cronache cittadine. La produzione sul
giornale si infittì nel 1893, quando il quotidiano cambiò
denominazione diventando Il Don Chisciotte di Roma, e Trilussa,
a ventidue anni, entrò a far parte del comitato redazionale del
giornale.
Fu in questo periodo che Trilussa preparò la pubblicazione del suo
secondo volume di poesie, Quaranta sonetti romaneschi, una
raccolta che a dispetto del nome contiene quarantuno sonetti,
selezionati prevalentemente dalle recenti pubblicazioni su Il
Don Chisciotte di Roma e in parte dalle poesie più datate
pubblicate sul Rugantino; la raccolta, pubblicata nel 1894,
segnò l'inizio della collaborazione tra Trilussa e l'editore romano
Voghera, rapporto che si prolungherà per i successivi venticinque
anni.
È sul giornale di Luigi Arnaldo Vassallo che nasce, tra il
1885 e il 1899, il Trilussa favolista: sono dodici le favole del
poeta che comparvero sul Don Chisciotte; la prima tra queste
fu La Cecala e la Formica, pubblicata il 29 novembre 1895, che
oltre ad essere la prima favola scritta e da Trilussa, è anche la
prima delle cosiddette favole rimodernate, che Diego De
Miranda, il redattore della rubrica Tra piume e strascichi, in
cui la favola fu pubblicata, annunciò così: «Favole antiche colla morale nuova.
Trilussa, da qualche tempo, non pubblica sonetti: non li pubblica
perché li studia. Si direbbe che, acquistando la coscienza della sua
maturità intellettuale, il giovane scrittore romanesco senta il
dovere di dare la giusta misura di sé, di ciò che può, della
originalità del suo concepimento. E osserva e tenta di fare
diversamente da quanto ha fatto finora. E ha avuto un'idea, fra
l'altro, arguta e geniale: quella di rifare le favole antiche
di Esopo per metterci la morale corrente.» (Diego De Miranda)
Quando De Miranda afferma che il poeta romano non pubblica più
sonetti perché li studia, probabilmente si riferisce alla
raccolta che Trilussa sta preparando, e di cui lui è a conoscenza,
che vedrà la luce solamente nel 1898, stampata presso la Tipografia
Folchetto col titolo Altri sonetti. Preceduti da una lettera di
Isacco di David Spizzichino, strozzino. Il curioso titolo dell'opera
ha origine da un episodio che i biografi considerano
reale: Trilussa, in difficoltà economiche, chiese
un prestito a Isacco di David Spizzichino, un usuraio, garantendogli
di restituirli dopo la pubblicazione del suo successivo libro. Ma il
libro tardò ad essere pubblicato, e Isacco mandò una lettera
perentoria al poeta; Trilussa decise di riportare la vicenda con
l'allegria e l'ironia che lo contraddistinsero sempre: inserì nella
raccolta una dedica al suo usuraio e la lettera intimidatoria a mo'
di prefazione dell'opera.
Nel frattempo il poeta romano iniziò a diventare dicitore dei suoi
versi, che declamava in pubblico nei circoli culturali, nei teatri,
nei salotti aristocratici e nei caffè concerto, luogo
prediletto da Trilussa, simbolo della Belle Époque. Senza
conoscere il tedesco, nel 1898 Trilussa si avventurò nella sua prima
esperienza estera, a Berlino, accompagnato dal
trasformista Leopoldo Fregoli.
Sulla scia del successo iniziò a
frequentare i "salotti" nel ruolo di poeta-commentatore del
fatto del giorno. Durante il Ventennio evitò di prendere
la tessera del Partito fascista, ma preferì definirsi un
non fascista piuttosto che un antifascista. Pur
facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre
sereni e improntati a reciproco rispetto. Nel 1922 la Arnoldo
Mondadori Editore iniziò la pubblicazione di tutte le raccolte.
Sempre nel 1922 lo scrittore entra in Arcadia con lo
pseudonimo di Tibrindo Plateo, che fu anche quello del Belli.
Fu padrino di battesimo del
giornalista e radiocronista sportivo Sandro
Ciotti. Il Presidente della Repubblica Luigi
Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1º
dicembre 1950, venti giorni prima che morisse (si legge in uno dei
primi numeri di "Epoca" dedicato, nel 1950, alla notizia
del suo decesso, che il poeta, già da tempo malato, e presago della
fine imminente, con immutata ironia, avesse commentato: "M'hanno
nominato senatore a morte"; resta il fatto che Trilussa, benché
settantanovenne al momento del trapasso, si ostinava con civetteria
d'altri tempi a dichiarare di averne 73).
Le sue ultime parole, pronunciate quasi
farfugliando alla fedelissima domestica Rosa Tomei, pare siano state:
"Mò me ne vado". La fantesca, invece, riferì al
giornalista di "Epoca" che la intervistò: "Gli stavo
preparando una sciarpa nuova, ora non gli servirà
più". Morì il 21 dicembre; lo stesso
giorno di Giuseppe Gioachino Belli, altro poeta romanesco, e
di Giovanni Boccaccio. Era alto quasi due metri, come
testimoniano le foto a corredo della notizia della sua morte,
pubblicate dal settimanale mondadoriano "Epoca" nel 1950.
È sepolto nello storico cimitero
del Verano in Roma, dietro il muro del Pincetto sulla rampa
carrozzabile, nella seconda curva. Sulla sua tomba in marmo è
scolpito un libro, sul quale è incisa la poesia Felicità. La
raccolta di Tutte le poesie uscì postuma, nel 1951, a cura
di Pietro Pancrazi, e con disegni dell'autore.
Opere
Tra
il 1887 e il 1950 Trilussa ha pubblicato le sue poesie inizialmente
sui giornali per poi raccoglierle in un secondo momento in volumi.
Questo gli permetteva di cogliere immediatamente i giudizi dei
lettori, oltre a mostrargli la resa artistica dei suoi componimenti a
una prima stesura. Solo successivamente avveniva un lavoro di
selezione e di perfezionamento delle sue poesie, scartando quelle
meno attuali, adoperando interventi stilistici, metrici e
linguistici. Questa seconda fase rendeva le raccolte del poeta romano
non una semplice collezione e riproposizione di poesie disseminate
sulle pagine dei quotidiani, ma veri e propri libri di poesie,
perfezionati e, all'occorrenza, rinnovati in relazione al contesto
sociale.
Stelle de Roma. Versi
romaneschi (1889)
Er Mago de Bborgo. Lunario pe' 'r
1890 (1890)
Er Mago de Bborgo. Lunario pe' 'r
1891 (1891)
Quaranta sonetti romaneschi (1894)
Altri sonetti. Preceduti da una
lettera di Isacco di David Spizzichino, strozzino (1898)
Favole romanesche, Roma, Enrico
Voghera, 1901.
Caffè-concerto, Roma, Enrico
Voghera, 1901.
Er serrajo, Roma, Enrico Voghera,
1903.
Sonetti romaneschi, Roma, Enrico
Voghera, 1909.
Nove poesie, Roma, Enrico Voghera,
1910 (online).
Roma nel 1911: l'Esposizione vista
a volo di cornacchia: sestine umoristiche, Roma, Tip. V. Ferri e C.,
1911.
Le storie, Roma, Enrico Voghera,
1913.
Ommini e bestie, Roma, Enrico
Voghera, 1914.
La vispa Teresa, Roma, Casa
editrice M. Carra e C., di L. Bellini, 1917.
... A tozzi e bocconi: Poesie
giovanili e disperse, Roma, Carra, 1918.
Le finzioni della vita. , Rocca
San Casciano, Licinio Cappelli, Editore, 1918.
Lupi e agnelli, Roma, Enrico
Voghera, 1919.
Le cose, Roma-Milano, A.
Mondadori, 1922.
I sonetti, Milano, A. Mondadori,
1922.
La Gente, Milano, A. Mondadori,
1927.
Picchiabbò, ossia La moje der
ciambellano: spupazzata dall'autore stesso, Roma, Edizioni d'arte
Fauno, 1927.
Libro n. 9, Milano, A. Mondadori,
1930.
Evviva Trastevere: poesie,
bozzetti, storia della festa de nojantri, varietà, Trilussa e
altri, Roma, Casa edit. Autocultura, 1930.
La porchetta bianca, Milano, A.
Mondadori, 1930.
Giove e le bestie, Milano, A.
Mondadori, 1932.
Cento favole, Milano, A.
Mondadori, 1934.
Libro muto, Milano, A. Mondadori,
1935.
Le favole, Milano, A. Mondadori,
1935.
Duecento sonetti, A. Milano,
Mondadori, 1936.
Sei favole di Trilussa: commentate
da Guglielmo Guasta Veglia (Guasta), Bari, Tip. Laterza e Polo,
1937.
Mamma primavera: favole di
Trilussa: con commento di Guglielmo Guasta Veglia: disegni di
Giobbe, Bari, Tip. Laterza e Polo, 1937.
Lo specchio e altre poesie,
Milano, A. Mondadori, 1938.
La sincerità e altre fiabe nove e
antiche, Milano, A. Mondadori, 1939.
Acqua e vino, Roma, A. Mondadori
(Tip. Operaia Romana), 1945.
Le prose del Rugantino e del Don
Chisciotte e altre prose, a cura di Anne-Christine Faitrop Porta, 2
voll., Roma, Salerno, 1992.
L'indovina de le carte
- Pe' fa' le carte quanto t'ho da dà?
- Cinque lire. - Ecco qui; bada però
che m'haio da di' la pura verità...
- Nun dubbitate che ve la dirò.
Voi ciavete un amico che ve vô
imbrojà ne l'affari. - Nun pô sta
perché l'affari adesso nu' li fo.
- Vostra moje v'inganna. - Ma va' là!
So' vedevo dar tempo der cuccù!
- V'arimmojate. - E levete de qui!
Ce so' cascato e nun ce casco più!
- Vedo sur fante un certo nun so che...
Ve so' state arubbate... - Oh questo
sì:
le cinque lire che t'ho dato a te.
Er ministro novo
Guardelo quant'è bello! Dar saluto
pare che sia una vittima e che dica:
- Io veramente nun ciambivo mica;
è stato proprio el Re che l'ha voluto!
-
Che faccia tosta, Dio lo benedica!
Mó dà la corpa ar Re, ma s'è saputo
quanto ha intrigato, quanto ha
combattuto...
Je n'è costata poca de fatica!
Mó va gonfio, impettito, a panza
avanti:
nun pare più, dar modo che cammina,
ch'ha dovuto inchinasse a tanti e
tanti...
Inchini e inchini: ha fatto sempre
un'arte!
Che novità sarà pe' quela schina
de sentisse piegà dall'antra parte!
1921
Parla Maria, la serva...
I
Pe' cento lire ar mese che me dànno
io je lavo, je stiro, je cucino,
e scopo, e spiccio, e sporvero, e
strufino
che quanno ch'è la sera ciò
l'affanno.
Poi c'è er pranzo, le feste, er
comprianno,
e allora me ce scappa er contentino
che m'ho da mette pure er zinallino
p'aprì la porta a quelli che ce vanno!
E avressi da sentì che pretenzione!
Co' 'na libbra de carne, hai da
rifrette
che ciò da fa' magnà sette persone!
Sai che dice er portiere? Ch'è un
prodiggio!
Perché pe' contentalli tutti e sette
bisogna fa' li giochi de prestiggio!