Johannes Bobrowski (Tilsit, 9 aprile 1917 – Berlino Est, 2 settembre 1965) è stato uno scrittore e poeta tedesco. Nacque nell'odierna Sovetsk, Russia, al tempo parte della Germania con il nome di Tilsit, e crebbe a Kaliningrad (all'epoca Königsberg). Studiò brevemente storia dell'arte, prima di essere coscritto e di finire prigioniero dell'esercito russo nel 1945. Costretto ai lavori forzati in una miniera del Donets, fu liberato nel 1949 e si stabilì a Berlino Est.
Esordì letterariamente nel 1952, con Pruzzische Elegy ("Elegia prussiana", pubblicato solo nel 1955). La sua produzione poetica e in prosa fu largamente autobiografica, ispirata dalle sue esperienze di guerra, e il tema principale fu il rapporto, da lui toccato con mano, tra la Germania e i popoli confinanti ad est. Il suo stile poetico fu sempre complesso e legato a simbolismi e collegamenti a volte di difficile e non immediata comprensione. La sua prosa fu invece più accessibile e colloquiale, anche se come nel caso del suo romanzo più noto Il mulino di Levin. Mio nonno in 34 frasi (Levins Mühle. 34 Sätze über meinen Großvater) nascondeva con abilità una critica sotterranea agli status politico-sociali dell'epoca.
Strade di uccelli
I
Nella pioggia dormivo,
nel canneto
di pioggia mi svegliai.
Prima che sfogli, vedo la luna
vicina,
sento il grido degli uccelli di passo,
lo scuotitore
dell’aria, il bianco
grido, che frantuma l’aria.
Rapida e acuta
come fiutano i
lupi,
sorella, ascolta: Väinämöinen
canta in mezzo al
vento,
getta l’ala di neve
sulla tua spalla, noi siamo
spinti
a volo nel vento dei canti –
II
ma sotto grandi
cieli solitari,
abbandonate
strade delle pennute
schiere, che trascorsero
–
dormendo sui venti
passarono, un nuovo
sole si
accese, la vampa
si levò nell’alto, loro bruciarono
nell’albero
di cenere.
Là hanno preso il volo
anche i
nostri canti.
Sorella, le tue mani
si sbiancano, tu nel
buio mi svanisci
nel sonno – quando io devo
cantare
l’angoscia degli uccelli?
(Traduzione di Roberto Fertotani)
*
Canti di Lettonia
Mio padre lo sparviero.
Un lupo mio
nonno.
E l’antenato il pesce predone nel mare.
Io, imberbe, un folle,
barcollando
agli steccati,
con mani nere
soffoco un agnello alla prima luce
dell’alba. Io,
che braccai le bestie
invece del
bianco
signore seguo i carri che sfrecciano
lungo i greti
dragati dall’acqua,
mi volgo verso gli sguardi
delle
zingare. Poi
sulla riva baltica incontro Uexküll, il
signore.
Cammina sotto la luna.
Le tenebre mormorano dietro di lui.
*
Pianura
Lago.
Il lago.
Sprofondate
le
rive. Sotto la nube
la gru. Bianchi, lucenti
i millenari
popoli
dei pastori. Con il vento
ho risalito il monte.
Qui voglio
vivere. Io ero
un cacciatore, ma l’erba
mi ha catturato.
Insegnami a parlare, erba,
insegnami
a essere morto, ad ascoltare
a lungo e a parlare,
pietra,
insegnami a restare, acqua,
e tu, vento, di me non
chiedere.
*
Sera estiva
Guarda, guarda oltre il rossore
oltre
la foresta e la nera muraglia.
L’acqua brilla ancora ed è
bianca.
Il silenzio è vivo, lì, è segreto e buono.
E tu, dove vivi? La Terra non
è
abbastanza per te, l’inesplicata?
Spazio in abbondanza
offre, spazio
senza contegno, per gioire e morire.
Guarda, sopra ogni cosa fluttuano le
nubi
e si stagliano le stelle… Come posso ripeterlo?
Oh
Terra, Terra, mai angusta, troppo
ricca per noi, troppo generosa.
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