venerdì 10 ottobre 2025

#stranieri / BOBROWSKI Johannes (1917 - 1965)

 

Johannes Bobrowski (Tilsit, 9 aprile 1917 – Berlino Est, 2 settembre 1965) è stato uno scrittore e poeta tedesco. Nacque nell'odierna Sovetsk, Russia, al tempo parte della Germania con il nome di Tilsit, e crebbe a Kaliningrad (all'epoca Königsberg). Studiò brevemente storia dell'arte, prima di essere coscritto e di finire prigioniero dell'esercito russo nel 1945. Costretto ai lavori forzati in una miniera del Donets, fu liberato nel 1949 e si stabilì a Berlino Est.
Esordì letterariamente nel 1952, con Pruzzische Elegy ("Elegia prussiana", pubblicato solo nel 1955). La sua produzione poetica e in prosa fu largamente autobiografica, ispirata dalle sue esperienze di guerra, e il tema principale fu il rapporto, da lui toccato con mano, tra la Germania e i popoli confinanti ad est. Il suo stile poetico fu sempre complesso e legato a simbolismi e collegamenti a volte di difficile e non immediata comprensione. La sua prosa fu invece più accessibile e colloquiale, anche se come nel caso del suo romanzo più noto Il mulino di Levin. Mio nonno in 34 frasi (Levins Mühle. 34 Sätze über meinen Großvater) nascondeva con abilità una critica sotterranea agli status politico-sociali dell'epoca.


Strade di uccelli

I

Nella pioggia dormivo,
nel canneto di pioggia mi svegliai.
Prima che sfogli, vedo la luna vicina,
sento il grido degli uccelli di passo,
lo scuotitore dell’aria, il bianco
grido, che frantuma l’aria.

Rapida e acuta
come fiutano i lupi,
sorella, ascolta: Väinämöinen
canta in mezzo al vento,
getta l’ala di neve
sulla tua spalla, noi siamo spinti
a volo nel vento dei canti – 

II

ma sotto grandi
cieli solitari, abbandonate
strade delle pennute
schiere, che trascorsero – 
dormendo sui venti
passarono, un nuovo
sole si accese, la vampa
si levò nell’alto, loro bruciarono
nell’albero di cenere.

Là hanno preso il volo
anche i nostri canti. 
Sorella, le tue mani
si sbiancano, tu nel buio mi svanisci
nel sonno – quando io devo
cantare l’angoscia degli uccelli?

(Traduzione di Roberto Fertotani)

*

Canti di Lettonia

Mio padre lo sparviero.
Un lupo mio nonno.
E l’antenato il pesce predone nel mare.

Io, imberbe, un folle,
barcollando agli steccati,
con mani nere
soffoco un agnello alla prima luce dell’alba. Io, 

che braccai le bestie
invece del bianco
signore seguo i carri che sfrecciano
lungo i greti dragati dall’acqua,

mi volgo verso gli sguardi
delle zingare. Poi 
sulla riva baltica incontro Uexküll, il signore.
Cammina sotto la luna.

Le tenebre mormorano dietro di lui. 

*

Pianura 

Lago. 
Il lago. 
Sprofondate
le rive. Sotto la nube
la gru. Bianchi, lucenti
i millenari popoli
dei pastori. Con il vento

ho risalito il monte.
Qui voglio vivere. Io ero
un cacciatore, ma l’erba
mi ha catturato. 

Insegnami a parlare, erba,
insegnami a essere morto, ad ascoltare
a lungo e a parlare, pietra,
insegnami a restare, acqua,
e tu, vento, di me non chiedere. 

*

Sera estiva

Guarda, guarda oltre il rossore
oltre la foresta e la nera muraglia.
L’acqua brilla ancora ed è bianca. 
Il silenzio è vivo, lì, è segreto e buono.

E tu, dove vivi? La Terra non è
abbastanza per te, l’inesplicata?
Spazio in abbondanza offre, spazio
senza contegno, per gioire e morire. 

Guarda, sopra ogni cosa fluttuano le nubi
e si stagliano le stelle… Come posso ripeterlo?
Oh Terra, Terra, mai angusta, troppo
ricca per noi, troppo generosa. 


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